Il segretario pronto al passo indietro: "Potrei non candidarmi a premier"
Basta strappi. Matteo Renzi prova a ricucire. In troppi vedono in lui un segretario del Pd senza più un partito alle spalle e non è da soli – o con i soli fedelissimi – che si punta il 40%. Ecco allora che l'ex premier arriva a pensare al passo indietro. "Potrei non candidarmi a premier", dice. Renzi sa che la partita del voto anticipato e quella della legge elettorale si intrecciano con le dinamiche e i tumulti interni ai dem. Il tentativo è quello di lanciare un messaggio chiaro al partito e si muove su due piani diversi, cercando un accordo sia nel merito che sui tempi. Dario Franceschini apre alla possibilità di puntare al premio di coalizione. Il ministro della Cultura immagina un orizzonte che vada dai centristi, alleati di anni di governo, all'esperienza di Giuliano Pisapia, alla sinistra del Pd. Una coalizione, ragionano i più all'interno del partito, "assai improbabile" prima del voto. La suggestione, però, serve ad aprire la strada a primarie di coalizione, come avvenne nel novembre 2012 con la sfida per la premiership tra Bersani e Renzi. "Il 13 febbraio – dice Franceschini tracciando un percorso che nelle sue intenzioni "può scongiurare" la scissione – la direzione del Pd non avrebbe che da applicare quelle regole". Non tutti, però, sono convinti. Non i 'giovani turchi'. "Chi rimpiange l'Ulivo dovrebbe ricordare che a far fallire quei governi furono le coalizioni. E che per superarle abbiamo fatto il Pd", ammonisce Matteo Orfini. E non manca chi azzarda lo scenario che sia lo stesso Renzi l'ispiratore ideale del cinguettio. Il segretario, intanto, prende tempo e si prepara ad affrontare la "nuova" fase politica. L'analisi della sconfitta – troppe volte rimossa secondo le accuse degli avversari interni ed esterni – c'è, anche se assume i tratti tipici del personaggio. Il 4 dicembre "ho avuto la possibilità di tirare un calcio di rigore. Me l'hanno parato… Anzi, 41 a 59 significa che l'ho tirato male, malissimo". La partita, però, ormai è finita, non c'è un secondo tempo. "Non mi va di essere raffigurato come una persona ròsa dalla voglia di andare alle elezioni anticipate per prendersi la rivincita – protesta l'ex premier – Quando si perde a calcio, non ci si riprova con la pallanuoto" .
Ecco allora che, pur continuando a ritenere preferibile per il Pd andare al voto entro l'estate, Renzi prende atto di come giugno, almeno nelle ultime ore, sia un'ipotesi che perde quota. Il momento di confronto che renda "il campo contendibile" non è in discussione. "Se si celebra il congresso si va all'anno prossimo, altrimenti si fanno le primarie. Non ho problemi a fare il congresso. Volevo farlo a dicembre ma me l'hanno impedito. E adesso lo invocano… ", dice facendo però attenzione a non alimentare polemiche.
Pronto a cedere il passo anche sulla strada che porta a palazzo Chigi. "La prossima volta potrei non essere io. Magari potrebbe toccare ancora a Paolo Gentiloni o a Graziano Delrio", spiega, mettendo in conto la possibilità che si arrivi a governi di coalizione, con i futuri alleati che imporrebbero la sua uscita di scena.
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