Emiliano, Speranza e Rossi dettano le condizioni: congresso con primarie in autunno, voto nel 2018 e un nuovo segretario
I tre ribelli del Pd lanciano l'ultimatum a Matteo Renzi dal palco del teatro Vittoria, nel cuore del quartiere Testaccio a Roma, fra drappelli del Partito democratico e le note di Bandiera Rossa. Congresso con primarie in autunno, voto nel 2018 e fine dell'era del segretario arrivato da Rignano sull'Arno. Enrico Rossi, Michele Emiliano, Roberto Speranza presentano l'elenco di condizioni per non uscire dal partito e lo sventolano sotto il naso del segretario alla vigilia dell'assemblea nazionale convocata nella capitale per domani, dicendo: "Se non ci ascolti, l'addio è inevitabile".
La "proposta di buon senso", illustrata da Roberto Speranza, prevede: un congresso "normale" anticipato da una discussione "vera", una legge elettorale che garantisca rappresentanza e governabilità, sostegno pieno al governo Gentiloni fino al termine della legislatura. Se questo non avverrà, "il Pd non esisterà più", dice Speranza. Ma il punto è un altro. Primo, la minoranza non ci sta più ad avere Matteo Renzi come leader. Secondo, la sinistra del partito teme che i renziani monopolizzino i posti nelle liste elettorali, eventualità a cui ha fatto accenno lo stesso Graziano Delrio in una conversazione rubata con il parlamentare di minoranza Meta. "E' assurdo che per avere le verità alcune volte si deve sperare solo in un fuorionda", commenta Speranza. La rottura è un'ipotesi in campo, anche se si registrano oscillazioni. Se il Pd diventa il Partito (PdR) di Renzi, se il congresso si trasforma in una conta, se si vuole abolire la sinistra, "noi non ci stiamo", dice Rossi alla platea riunita dentro e fuori il teatro dove è stato allestito un maxischermo.
Se non sarà ascoltata, la minoranza promette scissione. La parola viene pronunciata il meno possibile, come quando una cosa fa male, ma di fatto di addio si parla anche se si preferisce descriverlo come un "nuovo inizio sul solco dell'Ulivo", "un'altra storia senza patemi". Speranza ne ha discusso anche con Renzi che lo ha chiamato in mattinata. "Gli ho chiesto: Segretario, ma la vediamo solo noi questa scissione che c'è già stata? Solo con un congresso vero – puntualizza – possiamo tenere insieme il partito o altrimenti diventa una rivincita per il capo".
Fra i tre outsider del Pd, è Emiliano quello a cui tocca la posizione del paciere. "Possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme", scrive al mattino su Facebook con un post che 'brucia' gli itnerventi dei compagni. Parlando della sua telefonata con Renzi, dice: "Abbiamo convinto a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi". Ma è un mezzo bluff, l'ipotesi scissione non pare affatto accantonata. Bersani lo gela: "Non ho mai sentito questa cosa, a dire che si vota nel 2018 dev'essere Renzi, non Emiliano". Uno scambio di battute che evidenzia oscillazioni nella stessa minoranza, con il governatore pugliese in apparenza più disposto a restare nel Pd e un Bersani ormai rassegnato al doloroso addio. Nella telefonata ieri, assicurano fonti dem, Renzi ed Emiliano hanno semplicemente chiarito le reciproche posizioni. E sul tavolo del segretario Pd non pare esserci lo slittamento del congresso a dopo le elezioni amministrative, come invece richiede dalla sinistra Pd.
Asfaltano ogni dubbio le parole pronunciate poco dopo sul palco dallo stesso Emiliano: "Per evitare la scissione dobbiamo solo decidere che facciamo una conferenza programmatica. Se la facciamo e Renzi si convince a non ricandidarsi, allora può essere che convergiamo su uno stesso candidato". Anche i "fratelli maggiori" – come li chiama Rossi – Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, in prima fila, buttano tutta la responsabilità sull'ex premier. Per Bersani è Renzi ad aver provocato lo "strappo" in direzione e dice 'no' a un congresso fatto soltanto per "portare via la palla". Mentre l'ex segretario Ds sostiene che la situazione è "chiarissima: la questione è nelle mani del segretario del nostro partito". "Bersani ha scritto una lettera a Renzi e se Renzi dirà 'sono d'accordo', andre mo al congresso. Se Renzi vuole tirare dritto per la sua strada, è chiaro che noi non possiamo accettare questa prepotenza", chiosa D'Alema che con ogni probabilità non parteciperà all'assemblea nazionale all'hotel Parco dei principi. Non è escluso che al momento del voto, domani, la minoranza bersaniana possa uscire se l'ordine del giorno presenterà l'avvio del congresso prima di giugno.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata