All'inizio erano in quattro, si incontravano nello storico locale torinese di San Salvario, il Diwan, che ormai ha chiuso, ed erano additati dai più come 'i rottamatori'. Poi sono diventati la maggioranza del partito, a Torino come altrove. Dopo la 'botta' del referendum e le doppie dimissioni da premier e da segretario, si preparano a ripartire, facendo tesoro degli errori, ma per parlare soprattutto delle cose da fare e "non soltanto di quelle fatte". A cominciare da domani, al padiglione 1 del Lingotto dove si aspettano migliaia di persone, anche se la struttura ne contiene in tutto 1200. Guido Alessandro Gozzi ha 45 anni ed è un 'leopoldino' della prima ora, iscritto al Pd subito dopo l'evento di Firenze. Allora la maggioranza della delegazione piemontese era civatiana, Pippo Civati riscuoteva successo nel nord ovest più del sindaco di Firenze.
"All'epoca eravamo delle mosche bianche, non si capiva cosa fossero i renziani: 'I seguaci del sindaco Firenze? Contento te', ci dicevano". Poi la svolta tra il 2011 e il 2012. "Ci organizzavamo in modo carbonaro, andavamo ospiti dei circoli circoscrizionali o nei locali come il Diwan. Poi arrivò Paola Bragantini che da segretaria provinciale ci diede spazio: non tutti ebbero la stessa intelligenza in Italia", ricorda. "All'inizio eravamo malvisti, comprensibile: eravamo i rottamatori in una città in cui la stessa area politica del Partito democratico aveva governato per 25 anni". Chi si occupava dei comitati allora era Maria Elena Boschi. "Ci si sentiva al telefono – racconta Gozzi – per coordinare comitati a livello piemontese. A Firenze andavamo nello studio del sindaco e poi con lui insieme a Paola Parmentola e Filomena Pucci, si andava a cena Da Lino o a mangiare una pizza. Una volta, nell'autunno del 2012, Renzi era venuto a Torino per Juve-Fiorentina, all'incontro eravamo meno di 15 persone: andammo a mangiare con lui alla locanda Botticelli". Il Renzi degli esordi era "un ragazzo che faceva il sindaco a 38 anni, sagace, curioso di sapere come la pensano quelli che stanno con lui: chiedeva a tutti poi decideva da solo, faceva domande incalzanti e prendeva da tutti qualcosa, ma capiva anche subito se avevi qualcosa di interessante da dire". Insomma, "era un Renzi da giro di tavolo". E oggi? "E' sempre uguale, riparte con stessa grinta facendo tesoro di vittorie e sconfitte".
Ma il suo popolo gli chiede "di non seguire le orme dei grillini" e pare non aver capito neppure "la doppia condanna" chiesta per il padre Tiziano se giudicato colpevole nell'inchiesta Consip. "Vogliamo andare avanti con il programma, parlare delle cose da fare e non soltanto delle conquiste del governo", spiega. E poi serve intervenire sul partito perché "dal giro di tavolo siamo arrivati a una gestione centrale che poco sa di quel che pensa la base". Il problema sta nel fatto che "il rapporto con la base è stato troppo mediato dai dirigenti locali". Gozzi ricorda di quando in macchina raggiunsero Verona nel 2012, lui, Filomena Pucci e Pino Catizone che ora è passato a sostenere Michele Emiliano. Da dieci passarono a venti, finché le fila si ingrossarono sempre di più con l'arrivo dei fassiniani e dei franceschiniani. Da allora oggi il Pd sembra un'altra cosa. La scissione non spaventa i renziani della prima ora. E' altro quello che li spaventa: "perdere lo spirito delle origini". "Ho la tessera dal 2010, ma mi riconosco in quella cosa lì nata con la Leopolda e partita a gonfie vele soltanto più tardi. Se finisce, probabilmente non farò più politica". Da domani, dopo dieci anni dalla storia cominciata con Walter Veltroni, Renzi proverà a ripartire con i suoi da Lingotto.