Prima ha fatto dimenticare se stesso poi ha riaperto un dialogo con il Paese: il modello Toti si può riprodurre a livello nazionale?

Come il diavolo della celebre poesia di Charles Baudelaire Silvio Berlusconi ha vinto anche perché ha fatto dimenticare sé stesso. Non è un paradosso ma il segno di un'abile mutazione che ha molto di politico, ma moltissimo anche di capacità e abilità comunicativa. Negli ultimi diciotto mesi il Cavaliere non si è certo nascosto, semmai si è mimetizzato per far dimenticare ciò che era stato e non poteva più essere. Ha evitato di polemizzare contro la magistratura dismettendo i panni della vittima di un non ben definito sistema politico-giudiziario, ha rinunciato a lanciare strali contro i comunisti nostrani, sulla cui pericolosità ormai non crede più nemmeno la maggioranza dell'elettorato di centrodestra e, cosa più importante, se i competitor rimanevano Renzi e il Pd, ha elevato a vero nemico il movimento fondato e guidato da Beppe Grillo.

Sottotraccia ha lavorato a ricostruire un centrodestra che alle elezioni europee sembrava destinato all'estinzione. Passo dopo passo ed evitando di rubare la scena a tutti il Cavaliere è riuscito ancora una volta, là dove si è sempre dimostrato il più abile: rimettere insieme ciò che era entrato in crisi e sembrava impossibile ricostruire, vale a dire un'alleanza in grado di sfidare e di battere tutti gli avversari in campo a cominciare dal centrosinistra. In questa rinascita, che come detto ha connotati non solo politici ma anche umani e psicologici, Silvio Berlusconi è stato certamente aiutato dalla crisi del 'renzismo' la cui vera cifra non viene solo dai risultati dei ballottaggi, ma anche da una sorta di rassegnazione che sembra aver colpito il segretario e i suoi fedelissimi. Come spiegare altrimenti il disimpegno di Matteo Renzi da una campagna elettorale che già di per sé difficile rischiava, come poi si è visto, di travolgere come una slavina i candidati sindaci del Pd?

Se Silvio Berlusconi, come si diceva, facendo dimenticare se stesso è riuscito a riaprire un dialogo con il paese, Renzi dopo il trionfo alle europee, sembra averlo perso. Dalle sconfitte di Roma e Torino al disastro del referendum costituzionale, il leader del Pd ha disperso un patrimonio di credibilità personale che alla prova dei fatti è risultato in larga misura più virtuale che reale. E le scissioni e l'accerchiamento interno spiegano solo in parte questa afonia rispetto alle domande dei cittadini-elettori. Su questo dovrà interrogarsi il Pd: come riallacciare le fila di un rapporto virtuoso con il Paese accantonando le fantasiose ipotesi di un altrettanto fantasioso partito della nazione. Si è visto che dopo la "vacanza" delle europee il voto moderato, in parte e a suo tempo deluso dal centrodestra, è di fatto tornato a casa. Per il Cavaliere il rebus invece è un altro: il modello Toti che ha stravinto a Genova e in tutto il nord (quel nord che produce un terzo del Pil) si può riprodurre a livello nazionale? Sarebbe garanzia di per sé di una vittoria anche alle politiche o il Salvini che ogni tanto strizza l'occhio a Marine Le Pen e al suo antieuropeismo, non rischia invece di consigliare ai moderati del centrodestra di prendersi un'altra vacanza elettorale?

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