Il segretario Pd non mette tra "gli avversari" i partiti che si collocano nel campo di centrosinistra
"Sei mesi decisivi", da trascorrere andando "casa per casa" a parlare di "futuro". Matteo Renzi ribadisce la parola d'ordine della prossima campagna elettorale (il treno che girerà le 100 province d'Italia partirà da Roma il prossimo 19 ottobre) e individua gli avversari in campo: "Gli altri partiti hanno finalmente tirato giù le carte. Il Movimento Cinque Stelle ha scelto il proprio candidato, Di Maio. La destra sta sull'asse Salvini-Berlusconi. Noi dobbiamo difendere il futuro degli italiani e farlo con tutti quelli che ci stanno", scrive nella sua e-news.
Il segretario Pd, come già successo altre volte, non mette tra "gli avversari" i partiti che si collocano nel campo di centrosinistra e lo fa nel giorno in cui due ministri dem, Dario Franceschini e Graziano Delrio, si confrontano, a Napoli, con gli ex compagni di strada, alla festa nazionale di Mdp – Articolo 1. Entrambi preferiscono "giocare" nel campo del centrosinistra. "Io penso che con il forte rischio che in Italia corriamo con una destra che si ricompatta e un M5S che rappresenta il populismo che cresce in Europa, tenere insieme il più possibile il campo del centrosinistra sia giusto, doveroso e necessario", dice Franceschini.
Delrio si confronta sul palco con Pier Luigi Bersani. Tra i due diverse sono le priorità individuate come comuni: il lavoro, la lotta alle disuguaglianze, un diverso modello di sviluppo. Per metterle in campo, però, sottolinea il leader Mdp, serve un cambio di rotta, a partire dal Def. Nessuna minaccia, "siamo gente di governo non facciamo certo arrivare la Troika – chiarisce – ma il governo deve ascoltare anche noi e non solo Alfano o si assumerà le sue responsabilità". Il confronto è schietto e senza esclusione di colpi, ma amichevole. La distanza, almeno a sentire i renziani, ha un nome e un cognome. Il problema è Renzi? "Se fosse lui avrebbe un fisico bestiale, perché il problema è grosso – taglia corto Bersani – Ci divide il fatto che abbiamo il 20-30% di elettorato di centrosinistra che si rifiuta di votare. È risultato indigeribile per un pezzo rilevante un centrosinistra a trazione Pd e un Pd a trazione renziana. Per richiamare questa gente c'è bisogno di discontinuità".
Il ministro dei Trasporti incassa i colpi, rilancia una possibile intesa, ma mette i puntini sulle 'i'. "Io non voglio chiudere il dialogo" a sinistra. "Spero che l'avventura di Bersani e Pisapia raggiunga l'obiettivo che si prefigge di allargare il campo del centrosinistra, ma io non sono certo un uomo di destra, abbiamo fatto un mucchio di leggi di sinistra" sottolinea, provocando qualche borbottio in platea. Nessuna coalizione comune, sia chiaro. "Non è un ragionamento che sta nei sistemi elettorali attuali, nemmeno nel Rosatellum – ammette Delrio – Il tema vero è che nessuno è autosufficiente e può avere deliri di onnipotenza. Con questo sistema noi dobbiamo metterci a sedere un secondo dopo il voto e l'interlocutore è il centrosinistra. Non mi arrendo alle larghe intese". Bersani ci sta: "Ci mettiamo a sedere con il Pd dopo il voto? Sono d'accordo. Noi magari possiamo dare una mano nella correzione di rotta. Noi porteremmo l'acqua con le orecchie al centrosinistra non pensate che siamo qui a far vincere la destra", puntualizza piccato dalle accuse che sono arrivate dal Nazareno.
Della partita sarà anche Giuliano Pisapia. È troppo timido? "Ma no – risponde Bersani, cercando di allontanare le nubi provocate dalle parole di Massimo D'Alema cge chiedeva più coraggio al leader di Campo progressista – Noi dobbiamo raccogliere una pluralità di soggetti. Dobbiamo star larghi con la testa. C'è una singolarità nella leadership di Pisapia. Lui sta facendo uno sforzo per fare il federatore, per cercare di portare di nuovo al voto gente che si disperde. Perché se non alziamo le bandiere – avverte – questi voti non finiscono al Pd, ma al M5S o peggio alla destra".
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