Tra fine febbraio e primi di maggio l'Italia voterà per la XVIII legislatura. Tre grandi schieramenti. M5S in testa, ma da solo è difficile che ce la faccia. Problemi e occasioni di Centrosinistra e Centrodestra
A tre giorni dal voto siculo, mentre Nello Musumeci, con 36 voti (anzi, 35 visto l'arresto del neo eletto Cateno De Luca) dovrà andarsi a cercare una risicata maggioranza alla Assemblea Regionale Siciliana, si è già aperta la campagna elettorale per le prossime elezioni politiche. Tutte le mosse delle ultime ore; dal "no" di Di Maio al confronto televisivo con Renzi, all'intervista dello stesso segretario Pd a La7, all'endorsment di Pierluigi Bersani sul nome di Pietro Grasso candidato premier della sinistra, alle affermazioni di Salvini contro la "moderazione" di Berlusconi, fanno parte del posizionamento dei partiti in vista del voto per il Parlamento nazionale che aprirà il tempo della XVIII legislatura repubblicana.
E c'è molta confusione sotto il cielo, determinata anche dal fatto che si andrà a votare (in una data compresa tra marzo e maggio) con un nuovo sistema elettorale (il Rosatellum appena approvato) e che, a differenza di quanti molti ancora pensano (compresi alcuni politici, a giudicare da quello che dicono) il maggioritario non c'è più e siamo tornati in un sistema proporzionale. Il che significa che dalle urne non uscirà più il nome del premier, ma i vincitori (a meno che qualcuno arrivi al 40%) dovranno andare a cercarsi la maggioranza in Parlamento come succedeva alla Dc nel secolo scorso. I cittadini, dunque, si pongono molte domande. Proviamo a dare qui qualche risposta.
Quando si vota? – "In una data compresa tra febbraio e maggio del 2018" è l'unica risposta al momento ragionevole. Cerchiamo di capire meglio partendo dai dati a disposizione. La XVII legislatura repubblicana ebbe inizio il 15 marzo 2013. Molti hanno la sensazione che in Italia non si voti da troppo tempo. In realtà la XVII legislatura sta semplicemente andando a scadenza naturale (15 marzo 2018) e ai governi che si sono susseguiti e sono caduti (Letta, Renzi, Gentiloni) si è sempre trovata in Parlamento una soluzione politica di successione per cui il Capo dello Stato (prima Napolitano e poi Mattarella) ha potuto evitare lo scioglimento delle Camere. Si potrà poi dire che le Camere andavano sciolte e che sarebbe stato meglio votare prima, ma non si può dire che l'Italia si trovi in una situazione di irregolarità costituzionale.
La data del voto dipende politicamente dalle forze politiche in Parlamento e, tecnicamente (ma non solo) dal Presidente della Repubblica. La Costituzione (art. 61) dice che, dopo lo scioglimento delle Camere, si deve andare al voto entro 70 giorni. Se si andasse a scadenza naturale (15 marzo 2018), Mattarella dovrebbe fissare nuove elezioni entro il 24 maggio (che è un giovedì). In questo caso si potrebbe viotare in una di queste tre date: 6, 13 o 20 maggio.
Ma le Camere si possono sciogliere anche anticipatamente. Una volta approvato il bilancio e, magari, una legge importante come lo ius soli, a far cadere il governo basta un attimo. Per votare l'11 marzo la legislatura dovrebbe finire al più presto il 31 dicembre 2017 (piuttosto improbabile). Da lì bisogna spostarsi di una settimana in su o in giù lungo il calendario per stabilire data delle elezioni e conseguentemente limite minimo per lo sciogliemnto. Diciamo che, ragionevolmente, si potrebbe votare tra metà febbraio e i primi di marzo con scioglimento verso la fine di dicembre o nei primi dieci giorni di gennaio. Il termine di 70 giorni non è un obbligo ma un limite che non si può valicare. Per dare un punto di riferimento si può ricordare ch la XVI legislatura venne chiusa il 22 dicembre 2012 e si andò a votare il 24 febbraio del 2013 (64 giorni dopo lo scioglimento).
Come si vota? – La nuova legge elettorale è il "Rosatellum" approvato (il 26 ottobre scorso) in Parlamento (5 voti di fiducia al Senato) con la dura contrarietà del M5S. I 630 seggi della Camera saranno assegnati come segue: 232 in collegi uninominali (6 per il Trentino Alto Adige, 2 in Molise, 1 in Valle d'Aosta), 386 in collegi plurinominali (più piccoli degli attuali) col proporzionale e 12 all'estero. Al Senato 109 seggi saranno assegnati con i collegi uninominali ( 6 in Trentino Alto Adige, 1 in Molise e 1 in Valle d'Aosta), 200 nei collegi plurinominali col proporzionale applicato, però, su base regionale e 6 nei collegi esteri.
Nei collegi uninominali vince chi prende più voti. In quelli plurinomiali è stato fissato uno sbarramento del 3% per liste e del 10% per le coalizioni che sostengono un'unica lista di candidati. Nei (piccoli) collegi plurinominali verranno presentate liste bloccate con non più di otto candidati (spesso di meno). Sono ammesse le coalizioni che erano sparite con l'Italicum (approvato nel 2015 e cancellato dalla Corte Costituzionale senza mai essere applicato) e, nonostante il doppio sistema si vota con una scheda unica (una per la Camera e una per il Senato). Non è permesso il voto disgiunto, sono previste le quote rosa (non più del 60% di candidati dello stesso sesso), compare il tagliando antifrode e nessuno potrà candidarsi più di 5 volte nei collegi plurinominali.
Una legge elettorale, il "Rosatellum" che ha ricevuto molte critiche ma che, comunque, ha un punto di chiarezza: questo Paese ritorna a un sistema prevalentemente proporzionale, questione sollevata e sostenuta, soprattutto nella campagna per il referendum sulla riforma costituzionale, da diverse forze politiche. Un sistema che porterà, quasi inevitabilmente, a individuare premier e coalizione di governo attraverso trattative politiche tra i partiti tipiche del secolo scorso.
Come si schiereranno le forze politiche? – Come si diceva all'inizio, tutti cominciano a posizionarsi. Ma da qui al voto molte cose sono ancora destinate a cambiare. Attualmente è una partita a tre: Movimento 5 Stelle (che ha sempre detto chiaramente che non intende fare alleanze elettorali con nessuno), Centrodestra (già abbastanza compatto con Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d'Italia), Pd con i piccoli alleati di centro e l'eventualità (a oggi piuttosto remota) di un'alleanza con Mdp, Campo Progressista e Si-Sel. Una partita in cui, allo stato, si sprecano le scaramucce ma nessuno sembra in grado di prevalere. E' stato calcolato che per vincere le elezioni e avere una maggioranza autosufficiente, un partito (o una coalizione) dovrebbe arrivare al 38% nella parte prorporzionale e vincere il 65% dei collegi uninominali, cosa che, con i dati attualmente disponibili sembra una "mission impossible".
L'indicazione di un candidato premier, allo stato, è stata fatta solo da M5S nella persona di Luigi Di Maio più per motivi di chiarezza interna che per un'effettiva "investitura" a possibile capo del governo. Ma anche Di Maio, come vedremo, non avrebbe molte probabilità di diventare premier persino nel caso che il Movimento uscisse primo dalle urne. Anche lui, per arrivare al governo, dovrebbe andare in Parlamento a cercarsi i voti per una maggioranza.
Bersani, leader di Mdp, ha detto che Pietro Grasso sarebbe un candidato adatto, mentre il Pd oscilla tra chi dice che bisogna puntare su un candidato di coalizione (Gentiloni, per fare un esempio) e chi ancora spera nella possibilità di puntare al 40% con Renzi leader e candidato e, poi, eventualmente aprire trattative con chi ci sta.
Il Centrodestra appare più compatto e cerca di rimandare a fasi successive lo scontro interno sull'eventuale candidato premier (Salvini è il più probabile). In Sicilia, il Centrodestra si è dimostrato molto competitivo ed è arrivato al 39,8 per cento. Pensare che possa arrivare alle stesse percentuali su tutto il territorio nazionale, è cosa abbastanza difficile anche se non impossibile. E pure nel Centrodestra, dunque, è possibile che venga al pettine il nodo della leadership prima o dopo il risultato delle urne.
Chi vincerà? – L'unico modo per rispondere a questa domanda è partire dagli unici dati ufficiali disponibili: la media dei sondaggi dei diversi istituti al 5 novembre elaborata da "Termometro Politico". Ecco i numeri: M5S 27%, Pd 26,1%, Alleanza Popolare 2,3%, Mdp 3,1%, Sel-Si 2,3%, Lega Nord 14,5%, Forza Italia 14,2%, Fratelli d'Italia 4,8%, Altri 5,7%. Dentro la voce "Altri" ci dovrebbe essere un 1/2% di Campo Progressista (che potrebbe sommarsi agli altri nel caso di un "rassemblemant" di Centrosinistra (oggi poco più di una chimera), qualcosina di centrodestra e altre cose (come Casa Pound) non spendibili da nessuno.
C'è chi dice, a onor del vero, che alcuni sondaggi "riservati" immediatamente successivi al voto siciliano darebbero un salto in avanti del Centrodestra, un crollo del Pd e un calo del M5S. Ma è difficile, a oggi, tener conto di queste voci.
In sintesi: M5S sembra poter diventare il primo partito italiano alle prossime elezioni politiche. La cosa potrebbe servire poco a Di Maio e ai suoi se resteranno fermi sulla posizione di non allearsi con nessuno. Nella migliore delle ipotesi (a oggi percepibile) i grillini potrebbero attestarsi oltre il 30% che non sarebbe comunque sufficiente a governare.
Sommando tutte le sue voci, il Centrodestra "fotografato" al 5 novembre, potrebbe arrivare al 33,5% (diciamo al 35% con le frattaglie che stanno dentro alla voce "Altri"). Comunque insufficiente a fare il governo, ma neppure troppo lontano dal traguardo. Più si avvicina, però, l'eventualità di vittoria e più nel Centrodestra si aprono questioni mai del tutto chiuse di leadership. Si può pensare a una destra moderata che accetta Salvini come premier? E il Cavaliere, tirato da più parti per la giacca, non potrebbe rialzare la testa e proporre un altro nome?
Il Centrosinistra unito non si sa neppure se ci sarà, alle prossime politiche. Il Pd da solo, anche tirandosi dietro lo scomodo alleato Alfano, non supera il 28,5%. Sommando, invece, un 7% totale della sinistra, si arriverebbe al 35,5 (stessa quota del Centrodestra) e i due schieramenti potrebbero battersela anche sull'appeal fornito da una ritrovata capacità di unificazione del proprio campo di riferimento. Di sicuro, il voto in Sicilia ha dimostrato che il Centrodestra è già piuttosto avanti su questa strada e il Centrosinistra è ancora molto molto lontano da imboccarla.
Come andrà a finire? – Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe la palla di vetro. Paradossalmente il primo partito (M5S) è quello che, allo stato, ha meno probabilità di governare. Mattarella potrebbe affidare un incarico a Di Maio che dovrebbe andarsi a cercare degli alleati. L'unica voce in questo senso, durante la campagna elettorale in Sicilia, è venuta da Salvini che, a domanda, ha risposto: "Se nessuno, dopo il voto, avesse la maggioranza, potrei alzare il telefono solo per chiamare Di Maio. Di sicuro non chiamerei Renzi o Alfano". La risposta del M5S è stata quasi sprezzante e Berlusconi ha taciuto per amor di patria. Un'alleanza M5S-Lega Nord (ancorché apparentemente possibile rispetto ad alcuni contenuti) sconquasserebbe probabilmente il mondo grillino ma ancora di più il Centrodestra.
Nel Centrosinistra circolano due idee. La prima (quella spiegata da Renzi nell'intervista a La7) consisterebbe nell'andare alle urne come Pd puntando al massimo e, in caso di vittoria, aprire una trattativa con la sinistra per governare e "non consegnare il Paese al Centrodestra o ai grillini, o, peggio, a una loro alleanza". La seconda è che Renzi faccia solo il segretario e un altro (tipo Paolo Gentiloni) si candidi a mettere insieme il Centrosinistra. Ipotesi praticabile con dentro un paradosso grosso così: se la cosa (mettere insieme tutto il centrosinistra) si concretizzasse per tempo, potrebbe ancora avere un effetto rivitalizzante sullo sconfortatissimo elettorato di riferimento; se non andasse in porto, lascerebbe tali macerie nella sua area da decretarne la sconfitta ancor prima del voto, un po' come è successo in Sicilia.
Il Centrodestra, si diceva, ha un solo (non piccolo) problema: mantenere per alcuni mesi l'unità dimostrata in Sicilia ed evitare come la peste questioni di leadership. Obiettivo: andare al voto con questa situazione, vincere le elezioni e poi scannarsi per chi fa il premier.
Un voto, insomma, che, allo stato, non sembra facilmente chiarificatore. Mattarella avrà le sue gatte da pelare. Una, più avveduta, alla fine potrebbe miagolargli nell'orecchio, la balzana idea della "Grosse Koalition".
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