Di Maio punta a mantenere lo status quo. Anche per questo la risposta del M5S a una eventuale sentenza negativa per il vice di Tria potrebbe essere più morbida rispetto a quella data sul caso Rixi
Fare un tagliando alla squadra di governo dopo un appuntamento elettorale è prassi consolidata, ma non si giochi con gli equilibri all'interno dell'esecutivo che resta a maggioranza pentastellata. È questo l'ordine di scuderia che arriva dal Movimento 5 Stelle che non vuole fare passi falsi, soprattutto se sul tavolo c'è una ammissione di colpa, o peggio certificare il fallimento alle Europee del 26 maggio. Il rimpasto, quindi, resta in stand by, anche se una eventuale condanna del viceministro leghista Massimo Garavaglia nel processo in corso a Milano potrebbe riaprire la partita. Per Luigi Di Maio bisogna evitare che la Lega rivendichi il 34 per cento ottenuto nell'ultima tornata elettorale che non ha riscontro alcuno nei numeri in Parlamento. Anche per questo la risposta del M5S a una eventuale condanna del vice di Tria potrebbe essere più morbida rispetto a quella avuta sul caso Rixi.
Per ora quindi Toninelli e Grillo sono attenzionati, ma la porta d'uscita dei ministeri resta chiusa.
Il Movimento punta a mantenere lo status quo della squadra, compresi i cosiddetti sottosegretari finiti sulla graticola. Nessuna bocciatura per ora, quelli finiti sotto processo vengono soltanto rimandati a settembre. Luigi Di Maio non ha intenzione di cacciarli, su di loro ci sarà un richiamo ufficiale e un percorso di 'redenzione' e, ovviamente, chi non cambierà atteggiamento non avrà sconti. Sotto accusa ci sono i sottosegretari Davide Crippa, Lorenzo Fioramonti e Andrea Cioffi, colpevoli di aver "indossato la cravatta e essersi sentiti arrivati", tanto da non rispondere più neanche al telefono, confidano alcuni senatori del Movimento. Per Angelo Tofalo, sottosegretario alla Difesa, invece, la ragione sarebbe più politica e quindi di diverso approccio.
Altro discorso in casa Lega, dove si attende la sentenza su Garavaglia, nel mirino della Corte dei conti per la vendita di Palazzo Beretta a Milano, quando era assessore lombardo all'economia. Quella del leghista è una casella di peso, che non può essere trattata come quella di Edoardo Rixi, quindi le dimissioni non sono così scontate in caso di condanna. Soprattutto in questo momento, con il Carroccio in rotta con Tria sulla flat tax e con la manovra da costruire in autunno, Garavaglia non può essere messo fuori gioco.
Tuttavia la linea pentastellata è chiara e, se confermata, si potrebbe davvero riaprire la partita del rimpasto, con la Lega pronta a battere cassa e chiedere per sé il Mit e il ministero delle Politiche comunitarie. Per quest'ultimo il nome più accreditato è quello di Alberto Bagnai, "valido" come quello di Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera. Una cosa è certa, però, su queste due figure, fortemente antieuropeiste, servirebbe anche il via libera del Quirinale, al momento non interpellato e non intenzionato ad esprimersi su indiscrezioni di stampa. L'altra partita su cui potrebbe incidere la posizione di Garavaglia sarebbe quella del commissario UE. Giancarlo Giorgetti resta in pole, ma l'uomo forte del Carroccio, il braccio destro di Salvini, potrebbe essere più utile qui che in Europa. Rumors di palazzo definiti 'fantasy' da entrambi i contraenti del contratto di governo ipotizzano uno stravolgimento che vedrebbe Tria commissario Ue e Giorgetti alla guida del Mef. Come detto, però, si tratta di voci, più vicine al fantacalcio che alle strategie del Risiko.