Luigi Di Maio avvisa i suoi: "Sarebbe da irresponsabili votare contro il governo e contro il premier che chiede l'autorizzazione ad andare in Europa a chiedere di utilizzare i 209 miliardi di Recovery fund"
Beppe Grillo prova a scrivere il ‘the end’ sulla telenovela Mes. “Non starò qui ad elencare le mille ragioni” che fanno della linea di credito da 37 miliardi per la sanità “uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile”, scrive sul suo blog. A farlo, “ogni qualvolta gli viene messo un microfono sotto al naso, ci ha già pensato il nostro Presidente del Consiglio Conte”, sottolinea il guru M5S dando un preciso segnale all’inquilino di palazzo Chigi. Se servono risorse per il Ssn, propone l’ex comico, ‘basta’ far pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa o prevedere una patrimoniale per i super ricchi.
Quest’ultima proposta si inserisce nel dibattito aperto da un emendamento presentato alla manovra da Matteo Orfini e Nicola Fratoianni, al quale il M5S si era opposto senza se e senza ma, al punto da costringere Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede a precisare: mai una patrimoniale che colpirebbe il ceto medio, gridano all’unisono, ma giusto aprire il dibattito su una tassa per super ricchi, da un portafoglio da 50 milioni in su.
È l’ennesimo dossier controverso di una maggioranza che comincia a fare acqua da tutte le parti. Il primo nodo da affrontare resta il voto sulla riforma del Mes previsto mercoledì dopo le comunicazioni di Giuseppe Conte in vista del Consiglio europeo. Il pallottoliere a palazzo Madama non fa registrare miglioramenti significativi. Se i dissidenti M5S (non più di otto, dicono i più ottimisti) dovessero votare contro, il sì non passerebbe. Luigi Di Maio avvisa i suoi: “Sarebbe da irresponsabili votare contro il governo e contro il premier che chiede l’autorizzazione ad andare in Europa a chiedere di utilizzare i 209 miliardi di Recovery fund”, sentenzia.
In effetti i toni tra i corridoi si fanno più rassicuranti. “Voteremo un testo fluido, e sulla riforma ogni parte potrà dire di aver tenuto il punto senza mettere però a rischio la credibilità dell’Italia in Europa”. Sul punto sono giunte preoccupazioni e indicazioni chiare dal Quirinale. “Non ci dovrebbero essere problemi – viene ribadito – nessuno vuole arrivare a una crisi di Governo”. Il Pd sulla riforma non intende indietreggiare: “Se l’Italia non dovesse procedere rischia di perdere la sua credibilità. Il fatto che alcuni parlamentari non intendano accettare questa modifica mette a rischio la maggioranza, soprattutto al Senato – dice chiaro Delrio.
Sull’utilizzo dei 37 miliardi la ‘soluzione’, già anticipata dal premier, sarà quella di rimandare ogni decisione al Parlamento. Resta il sì convinto di Pd e Iv, ma altrettanto fermo è il “mai finché saremo noi al Governo” del M5S. A compattare le fila ‘nemiche’, nel tentativo di scongiurare i pure possibili soccorsi azzurri, arriva poi una telefonata tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi che ribadiscono la compattezza della coalizione su tutti i dossier in campo e condividono “il No a imposizioni europee che mettono a rischio i risparmi e il lavoro degli italiani. Non ci sarà nessuna stampella per una maggioranza divisa e litigiosa”, è l’avvertimento.
Il copione, insomma, non cambia. “Siamo impantanati, è questa la verità”, è la fotografia sconsolata che da giorni viene fatta dai Dem. Il futuro, quindi, adesso è un’incognita: “Noi siamo responsabili, ma chi può dirlo quanto reggiamo nella palude”. Non si tratta più nemmeno di rimpasto, viene spiegato. Conte non lo vuole: “Il ‘capitano’ ha detto in diretta TV agli italiani che i suoi ministri sono bravissimi, quindi siamo a posto”, rimarcano da Iv. Né si crede che un tavolo tra il premier e i leader possa a questo punto sbloccare la situazione, bloccata anche sulle riforme. Come fa Conte a convocare i big se non ha una soluzione – è il ragionamento – un conto è che litighino i capigruppo ma se Renzi dice ‘ok al proporzionale, ma serve la riforma del bicameralismo’ e Crimi dice che non se ne parla, a quel punto la rottura è grave. Come spesso accaduto nella recente storia politica, quindi, la riforma della legge elettorale potrebbe slittare a data da destinarsi, se non alla fine della legislatura. “Sempre che ci arriviamo, perché con questi chiari di luna – è il refrain – il 2023 si fa sempre più lontano”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata