La situazione nei Cinquestelle è esplosiva, ma il capo politoc cerca di raffreddare animi in maggioranza

Si scrive Mes, si legge ‘pentola a pressione’. La situazione nei Cinquestelle è davvero esplosiva, al punto che il capo politico, Vito Crimi, è costretto a metterci la faccia, con gli alleati e con il presidente del Consiglio, per garantire che mercoledì prossimo i suoi, in Parlamento, non faranno brutti scherzi. “Tutto andrà come deve andare”, assicura il vice ministro dell’Interno, da venerdì scorso impegnato a spegnere i bollori di un pezzo di truppa che rischia di mandare Giuseppe Conte in Europa senza più una maggioranza, proprio nel momento in cui si devono discutere i termini della riforma dei trattati istitutivi del Meccanismo europeo di stabilità, ma soprattutto all’ultimo miglio prima di presentare il Recovery plan, lasciapassare per accedere a quei benedetti 209 miliardi di fondi europei per la crisi economica scatenata dal Coronavirus.

Così si è attivata una macchina della diplomazia pentastellata che ha prodotto una ‘task force’ di 58 persone (i capigruppo delle varie commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama) per stilare una risoluzione da presentare – possibilmente col resto della coalizione – dopo le comunicazioni del premier nelle aule di Camera e Senato. Il compromesso a cui lavorano Crimi e i big M5S è questo: “Siamo contrari al Mes e nemmeno questa riforma ci piace, perché non risolve le criticità, ma serve per chiudere un capitolo e guardare avanti”. Una formula che sembra aver ridotto il dissenso a un numero di voti non rischioso per la sopravvivenza del governo. Del resto, anche Mario Turco, il sottosegretario con delega a Programmazione economica e investimenti che ha in mano il dossier Recovery fund, incontrando i colleghi domenica mattina, ha detto chiaramente che un ‘ammutinamento’ farebbe saltare i piani anche sulle risorse Ue.

Argomenti su cui gli alleati sono molto sensibili. Tant’è vero che il ministro degli Affari Ue, Enzo Amendola, augurandosi che “da qui al 9 dicembre la riflessione fra i partiti produca novità positive”, ricorda a tutti – e in particolare ai Cinquestelle – che “il governo non può non avere una linea unitaria in politica estera”. Ma il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, va oltre e avvisa che se si perdesse la spinta europeista dell’ alleanza, allora “non avrebbe più senso portare avanti questa esperienza”. Pressioni fortissime, dunque, che si sommano a quelle che arrivano dalle opposizioni, in senso inverso ovviamente.

Il presidente dei deputati leghisti, Riccardo Molinari, ad esempio, ci va giù pesante: “Il Movimento 5 Stelle è a un bivio: o tradisce se stesso e milioni di italiani votando questa riforma oppure dà un freno al premier per il bene del Paese”. L’esponente del Carroccio sa di toccare le corde giuste di qualche collega pentastellato poco incline a fidarsi di Bruxelles, ma il suo concetto si scontra con quello espresso da uno dei leader M5S più forti, Luigi Di Maio, che nell’ultima assemblea congiunta ha chiesto di non portare la testa di Conte al patibolo. Anche perché la reazione dei vertici non sarà clemente: “Mercoledì non ci saranno problemi, ma se qualcuno dovesse decidere diversamente se ne assumerà le proprie responsabilità”, Crimi dixit. Grillini avvisati.

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