Restano le tensioni nella maggioranza, non solo su Recovery Fund e Mes

Separati in casa. Il termine è abusato, ma rende perfettamente l’idea della situazione che vive la maggioranza. Perché la crisi di governo è solo in ‘ghiacciaia’, con Matteo Renzi pronto a farla esplodere in qualsiasi momento se da Giuseppe Conte non arriveranno le risposte alle istanze di Italia viva. Oltre al braccio di ferro con il premier, però, il senatore toscano ha deciso di regolare anche un altro conto in sospeso, ma tutto interno alla coalizione. Anzi, per dirla tutta, un conto che viene dal suo recente passato e senza essere mai stato risolto del tutto. È bastata un’indiscrezione sul pensiero di Dario Franceschini, infatti, a innescare una reazione esplosiva dell’ex segretario democratico. L’idea del capodelegazione dem è quella di tornare alle urne, qualora l’attuale esecutivo dovesse andare all’aria, con un asse Pd-M5S che tenga fuori il partito di Renzi.

Il diretto interessato ci ha messo poco più di 24 ore a rispondere, ma lo ha fatto alla sua maniera. “E’ chiaro che sta bleffando, come si fa nelle partite di poker in politica”, dice pubblicamente Renzi. Poi il colpo all’ex amico, intriso di enfasi per la storica vittoria della sua Fiorentina sul campo degli arcinemici juventini: “Il presidente della Repubblica non si chiama Franceschini, ma Sergio Mattarella. Dario non è il Ribery della politica, c’è il capo dello Stato in quel ruolo”. ‘Matteo’ sa di aver messo nel mirino uno degli uomini più vicini a Conte. Così non molla la presa: “Fa il ministro dei Beni culturali? Allora pensi al turismo”.

Quanto al premier, i sassolini restano nella scarpa sono ancora tanti. Soprattutto sull’argomento Servizi. “Serve un esperto tecnico, che non è il presidente del Consiglio. Tutti abbiamo sempre delegato, perché lui accentra? Anche su questo servono segnali di novità”. La risposta arriva a stretto giro di posta: “Leggo che diversi vorrebbero avere la delega, ma in passato è stata sempre dello stesso partito del premier”. Dunque, argomenta Conte, facendo ciò che chiede il suo predecessore il rischio è di costruire “una struttura bicefala, che sarebbe un’anomalia in Italia”, con una “grave compromissione per l’operatività dell’intero comparto”. In poche parole, non se ne parla. Ergo, la lista dei ‘contro’ non si sfoltisce nella testa di Renzi, che tornerà di sicuro alla carica.

Nel frattempo, Iv prepara le proposte da presentare al Recovery plan, così come stanno facendo anche gli altri partiti di maggioranza. E lo stesso Conte, che spera di chiudere entro fine mese la partita. Ma 52 progetti sono ancora troppi e il tempo stringe. “Conte deve decidere cosa fare in futuro – avvisa Renzi -. Con Salvini non ha fatto bene, poi è arrivata la pandemia. Adesso si tratta di capire nei prossimi due anni e mezzo, da qui alla fine della legislatura, di non buttare via i soldi che stanno arrivando perché nel caso pagheranno i nostri figli”.

La pressione è forte e non accenna a diminuire, nonostante la tregua dopo l’incontro a Palazzo Chigi. Lo dimostrano i cannoni riattivati anche sul Mes. “Gli approcci ideologici non reggono quando si fanno i conti con la realtà”, ripete come un mantra Teresa Bellanova. La strategia è chiara: uno tra Renzi e Conte deve abbassare gli occhi. Il premier agita lo spettro delle urne anticipate, il leader di Iv quello di un nuovo governo con premier diverso. Chi riterrà di avere più da perdere farà il passo indietro. 

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