La crisi di governo sembra uno scenario sempre meno improbabile, mentre continua il confronto su come usare i miliardi dell'Europa
“Il nostro posizionamento è perfetto”. Matteo Renzi ha appena annunciato in Senato il sì di Italia viva alla fiducia posta dal Governo sulla Legge di bilancio, ma le ‘riserve’ restano tutte in campo. Il leader davanti a sé vede due possibilità. “L‘ipotesi A – ragiona con i suoi – è quella che vogliono tutti, anche se non lo dicono: un Conte ter. Il premier apre la crisi, va in Parlamento e torna a palazzo Chigi” rinforzato negli equilibri e nella squadra. L‘ipotesi B, è la seconda parte della riflessione “è che la crisi la apriamo noi, ma a quel punto non c’è più Conte“. Alla ‘terza via’, rappresentata da un gruppo di responsabili e da qualche renziano pronti a salvare il Governo, il senatore di Rignano non crede troppo. In ogni caso dice sicuro di non temerla. Anzi.
“Se qualcuno esce da Iv e se i ‘Contiani’ esistono davvero io me ne vado tranquillo all’opposizione e guadagno in sondaggi, che Calenda e FI mi attaccano sul fronte riformista, come accaduto su Ilva. Se resto in maggioranza mi tengo il 3%, ma devo incidere”, è il refrain. In realtà sia dall’Udc che dai ‘Totiani’ di Cambiamo fioccano le smentite rispetto alla possibilità di “far da stampella” all’esecutivo, anche se a taccuini chiusi in molti sono pronti a scommettere che il partito di ‘fine legislatura’ sia comunque il più numeroso in Parlamento.
Il voto? L’ex premier a questa possibilità non crede affatto, ma anche in questo caso, vede il bicchiere mezzo pieno. Rispetto al M5S, che dai 300 parlamentari di adesso ne eleggerebbe sì e no 70, io me la cavo. Se porto a casa il 4-5%, torniamo in 30 su 48. Non benissimo, ma c’è di peggio – è la linea. Non solo. Lo scenario, è sicuro Renzi, cambierebbe radicalmente se davvero si creasse la lista Pd-M5S: “A quel punto si aprirebbero praterie”, la previsione.
In ogni caso, il leader di Iv resta in attesa, senza prevedere passi indietro. Almeno per ora. “La palla è nel campo del presidente del Consiglio. Siamo stati partner fino a oggi non saremo complici del più grande sperpero di denari pubblici della storia repubblicana. O si spendono bene o fate da soli”, tuona lapidario.
Il pressing sul Governo è dimostrato dal lungo confronto che si svolge al Mef tra Roberto Gualtieri e Enzo Amendola e la delegazione di Iv. Le ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti e i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone impiegano tre ore per presentare al titolare di via XX settembre le 62 “critiche e considerazioni” sulla bozza arrivata “nottetempo”. I renziani fanno le pulci al draft in modo preciso e puntuale: riferimenti alle pagine, correzioni delle ripetizioni, richieste politiche nette. In realtà i membri del Governo assicurano che la nuova bozza del Recovery, datata 29 dicembre, comprende già molte delle richieste avanzate dai partiti e prevede un cronoprogramma e obiettivi precisi. Bellanova e compagni, però, non ci stanno: “Sui contenuti non ci siamo, ci separa un abisso. Abbiamo mandato 30 pagine, loro una bozza di Recovery plan modificata dopo la conferenza stampa di Renzi e arrivata ieri notte”, dicono lasciando il Mef. Anche se fonti di governo descrivono un altro scenario, spiegando che c’è stato un confronto “costruttivo”, con “distanze su alcuni temi che andranno risolte nel tavolo politico”, ma anche “punti di convergenza”. In ogni caso, la discussione “non è stata da ‘abbisso'”.
Un nuovo confronto, quindi, si renderà necessario nei prossimi giorni. Una riunione politica, che dovrebbe tenersi a Palazzo Chigi prima dell’Epifania, per trovare l’accordo prima del Consiglio dei ministri. Le distanze sono quelle di sempre. I renziani, ad esempio, chiedono di mettere in campo tutti gli interventi in deficit possibili, creando debito buono attraverso gli investimenti. Tiene il freno a mano tirato, invece, Gualtieri, che ribadisce la necessità di non perdere d’occhio la sostenibilità del quadro complessivo. Restano poi il “radicale dissenso” dopo la volontà espressa da Conte di tenere la delega sui servizi segreti, i “nodi da sciogliere” in fatto di giustizia, la necessità di mettere mano alle riforme istituzionali, le infrastrutture e il 5g. Boschi chiede due settimane perché si arrivi a un “vero coinvolgimento degli stakeholder” che fin qui non c’è stato. Per il premier e il titolare del Mef, però, adesso bisogna “correre”. Anche i Dem, dopo aver presentato le proprie proposte aspettano i fatti, “sempre con uno spirito costruttivo e di responsabilità”. Ma basta chiacchiere.
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