Oggi pomeriggio saliranno al Quirinale prima il centrodestra e poi il M5s
Parlarsi non è servito. Perché Conte a questo punto sa che il Ter è un’ipotesi sempre più lontana. Matteo Renzi non ha indicato al capo dello Stato il suo nome per tentare di formare un nuovo governo, come invece ha fatto il segretario Pd Nicola Zingaretti. “Noi non siamo ancora disponibili all’incarico a Conte”, sussurrano al termine dell’incontro al Colle da Italia Viva. In sostanza no a un incarico del premier stasera, sì a un mandato esplorativo a una figura terza, come il presidente della Camera, Roberto Fico, ma potrebbe essere anche un altro nome di garanzia individuato da Mattarella, che chiarisca “politicamente se c’è la maggioranza”. In caso di risposta affermativa, M5s e Pd “devono chiedere l’impegno di Italia Viva. E allora si discute sui contenuti”. Cioè, i punti di quella famosa lettera al premier che il senatore fiorentino va sventolando da fine novembre e che parla di Recovery, infrastrutture, sanità, scuola e Mes.
Nel caso non ci sia, “a noi va bene un governo del Presidente”, dicono ancora da Iv. I nomi che circolano sono gli stessi da giorni, il ticket Gentiloni-Draghi ma anche quello – e con sempre maggiore insistenza – del presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, considerata da tutti figura abbastanza equilibrata – esponente Pd certo, ma uomo delle istituzioni – e con uno sufficiente standing internazionale a rasserenare gli animi di Bruxelles, dove si seguono le vicende italiane per capire quando e con chi si parlerà di Recovery plan. Ma si parla di soluzioni ‘estreme’, prima vanno battute le piste interne, quelle ‘politiche’.
Palazzo Chigi in poche parole è ancora appeso a Italia Viva, come Renzi agognava e come il Pd invece sperava non accadesse. E Giuseppe Conte si ritrova, suo malgrado, al punto di partenza: perché l’operazione costruttori al Senato è sostanzialmente un fallimento, dopo settimane di tentativi che non hanno dato grossi frutti se non la creazione di un gruppo di dieci esponenti che non spostano gli equilibri, visto che hanno già votato la fiducia dieci giorni fa, e la goffa giravolta del forzista Luigi Vitali, tornato all’ovile dopo una notte di riposo interrotta dalle chiamate di Berlusconi e Salvini. Il premier ha provato, in extremis, a mettere le carte in tavola con Renzi, telefonandogli – dopo settimane in cui si sono parlati niente, più che poco – prima che l’ex alleato salisse al Colle. Ma non è riuscito a convincerlo a tornare al tavolo senza garanzie. Sul Mes, innanzitutto, ma non solo. Garanzie che Renzi pretende da Conte – la squadra, il programma – e da tutta la coalizione: “Ci dicano se ritengono Iv parte o non parte della maggioranza Rimettiamo la valutazione a chi in queste settimane ha messo veti su noi”.
Il M5s, incerto se riaccogliere Italia Viva o meno, temporeggia. Dal Pd risponde a stretto giro Andrea Orlando: “Bisogna capire se Renzi pone un veto su Conte o no, cioè se è vero quello che ha detto al Quirinale o quello che ha fatto uscire dopo sulle agenzie”, riflette. Ma avverte: “Se con Renzi i numeri della maggioranza restano risicati, si continuerà a ballare e per questo vogliamo un allargamento”. In sostanza, al terzo giorno di crisi ci sono ipotesi più o meno probabili di altre, ma nessuna è esclusa: di sicuro per Conte, che sperava di risolvere tutto prima della settimana, c’è poco da star tranquilli.
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