Ma il governatore del Lazio resta sulla sua posizione: "Non torno indietro"

La decisione, confidata solo ad alcuni fedelissimi, “è irrevocabile”. Nicola Zingaretti si dimette da segretario del Pd e, assicurano i suoi, “non tornerà indietro”. La misura è colma. “Dopo che anche il suo appello alla lealtà è caduto nel vuoto, ha capito che il problema era lui e gli attacchi sarebbero continuati”. Di qui la scelta di compiere “un atto d’amore” per il Pd e farsi da parte. “Continuerà a far politica da presidente di Regione, come Bonaccini o Zaia”.

Il passo indietro, annunciato su Facebook ieri pomeriggio, è per i più un fulmine a ciel sereno. Il segretario ‘immobile’ diventa in un istante l’epicentro di in terremoto interno incomprensibile ai più. “Nessuna mossa di poker, quelle le lasciamo a qualcun altro”, ripetono i fedelissimi, piuttosto uno sprint dettato dalla “consapevolezza” che, a fare le spese “dell’assedio continuo” al Nazareno, sarebbe stato il Pd. Di qui l’azzardo. Sofferto. Zingaretti per spiegarlo usa parole dure: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”. Zingaretti ripercorre la storia dei suoi due anni da segretario: con il Pd ereditato “isolato e morto, all’indomani delle Politiche del 2018, al “sorpasso” al M5S alle Europee e poi “primo partito, davanti alla Lega” alle ultime Amministrative. “Ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Non è bastato”, ammette. Di qui la scelta di lasciare, “visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito”, che “ non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì – dice sicuro – ucciderebbe il Pd”.

La botta è forte. Le diverse anime interne, sempre veloci a commentare sui social ogni ‘starnuto’ della cronaca politica, di fronte al ‘bam’ si prendono qualche minuto. Poi, passata la sorpresa, a moltiplicarsi sono le richieste di ripensamento. “Il gesto di Nicola Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”, dice Dario Franceschini. “È comprensibile l’amarezza del segretario per gli attacchi ingiustificati e ingenerosi che si sono susseguiti in questi giorni. Credo che la sua scelta implichi e richieda uno scatto e una risposta unitaria, credo che unitariamente si debba chiedere a Zingaretti di ripensare la sua decisione”, aggiunge il vicesegretario Andrea Orlando, mentre Luigi Zanda chiede chiaramente all’assemblea, in calendario il 13 e 14 marzo, di “respingere le dimissioni all’unanimità”. “La decisione di Nicola Zingaretti mi addolora. Ne comprendo le ragioni. Spero ci sia lo spazio per un ripensamento”, incalza il fedelissimo Goffredo Bettini. Nelle prime ore, significativo, è invece il silenzio di Base riformista, area guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti che a più riprese, negli ultimi giorni, ha chiesto il congresso e un cambio di linea. E’ il ministro della Difesa a rompere gli indugi e dettare la linea: “Mi auguro davvero che Zingaretti ci ripensi e ritiri subito le sue dimissioni – dice – In un grande partito come il nostro è normale e legittimo che convivano posizioni diverse. Ciò di cui sono certo è che tutti abbiamo a cuore il Pd e ci sentiamo responsabili verso l’Italia e gli italiani”. “Spero che #Zingaretti ritiri le dimissioni. In un partito democratico e libero come il nostro, è salutare avere anche idee diverse. Importante è essere uniti in una fase così difficile per l’Italia”, gli fa eco il capogruppo al Senato Andrea Marcucci. Resta silente l’area dei ‘Giovani turchi’, che fa riferimento a Matteo Orfini e non ha risparmiato critiche al segretario negli ultimi tempi.

Nel frattempo, al Nazareno, sono centinaia le mail che arrivano con hashtag #iostoconzingaretti e #zingarettiresta. E poi raccolte firme e prese di posizione di segretari di circolo, eletti sui territori, segretari regionali, segretari provinciali e di federazione a sostegno del segretario. Anche alcuni ‘alleati’ si spendono per il segretario. Lo sente al telefono Giuseppe Conte, che definisce Zingaretti “un leader solido e leale, che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività” e anche il capo politico M5S Vito Crimi gli riconosce “un forte spirito di collaborazione e abnegazione”.

Adesso ‘la partita’ si giocherà in assemblea. Nel Parlamentino dem composto da mille delegati, Zingaretti ha la maggioranza schiacciante (il 66% dei consensi, almeno sulla carta). Se dovesse arrivare la richiesta unanime di tornare indietro e segnali di tregua tangibili potrebbe essere difficile per il leader non ripensarci. Chi ci ha parlato, però, resta sicuro: “Non cambierà idea”.

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