In questo scontro interno alla maggioranza, c'è anche il capitolo Luciana Lamorgese. Perché Salvini continua a chiedere un intervento del premier sulla responsabile del Viminale, che non piace nemmeno a FdI

Il pressing su Claudio Durigon si fa sempre più stretto. Matteo Salvini prende tempo, ribadendo che ci sarà un incontro, vis à vis, con il sottosegretario all’Economia per “valutare insieme come andare avanti, nella massima serenità, nel bene suo e del Paese”. Ma il segretario della Lega sa che l’eco delle parole di uno dei suoi uomini più forti non smette di rimbombare nel dibattito politico nazionale. Durigon, già messo nel mirino da M5S e Pd dopo un’inchiesta giornalistica, ha suggerito di intitolare nuovamente il parco ‘Falcone e Borsellino’ di Latina ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. “L’apologia di fascismo è incompatibile con il ruolo di Durigon e, dunque, con la sua presenza al Governo. Credo sia chiaro a tutti”, ribadisce il segretario del Pd, Enrico Letta. Che chiede di velocizzare: “Il governo deve occuparsi di questioni reali, è paradossale che si debba perdere tempo dietro una situazione che andrebbe risolta il più rapidamente possibile”.

In questo scontro interno alla maggioranza, c’è anche il capitolo Luciana Lamorgese. Perché Salvini continua a chiedere un intervento del premier sulla responsabile del Viminale, che non piace nemmeno a FdI. “A Draghi ho chiesto un incontro a 3 con lui e Lamorgese. Se il ministro è capace lo faccia, altrimenti lasci il posto a qualcun altro”, ribadisce il leader del Carroccio. Anche se non trova sponde negli alleati di centrodestra che appoggiano l’esecutivo: “Non ci sono gli estremi per una sfiducia”, sbarra la porta il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani. In difesa di Lamorgese, inoltre, si schiera anche il Partito democratico.

I riflettori, dunque, restano puntati su Durigon. Di cui parla anche un altro pezzo da novanta della Lega, Giancarlo Giorgetti. A margine del Meeting di Rimini, infatti, il ministro dello Sviluppo economico, incalzato dalle domande dei cronisti sul sottosegretario al Mef, risponde: “Un membro del governo si dimette perché lo chiede il presidente del Consiglio o perché glielo chiede il segretario del partito che lo ha indicato o perché glielo suggerisce la sua coscienza. Io non sono Claudio Durigon e quindi non lo so. Dovete chiedere a lui”.

Da sinistra c’è una marcatura a uomo sull’esponente leghista. “Se Durigon non si dimetterà, voteremo la sfiducia in aula”, avverte il senatore di Leu, Francesco Laforgia. Mentre il vice presidente del gruppo dem a Palazzo Madama, Franco Mirabelli, attacca: “E’ riuscito contemporaneamente a mettere in discussione un principio costituzionale come quello dell’antifascismo e la necessità di tenere alta la guardia nella lotta alla mafia”.

Durigon “molli la poltrona”, tuona via Facebook il parlamentare pentastellato, Gianluca Ferrara. Ma in questa partita entra anche il forzista Elio Vito, che si è schierato per le dimissioni del sottosegretario. Lanciando anche una proposta, via Twitter, a tutti i leader nazionali delle forze politiche: “Se Durigon non si dimette, organizziamo una manifestazione nazionale a Latina, al Parco Falcone-Borsellino, per difendere i valori dell’antifascismo e dell’antimafia”.

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