Il segretario Pd: "Il ruolo di Presidente della Repubblica è unico, perché è un arbitro, un garante, un rappresentante che dà voce a tutti i cittadini"
Enrico Letta mette il veto su Silvio Berlusconi: “Il ruolo del presidente della Repubblica italiana è unico” perché è “un arbitro, un motore, un garante, un rappresentante che dà voce a tutti i cittadini. Da qui si capisce la delicatezza del profilo che deve avere il presidente della Repubblica e rivedendo i 12 presidenti viene fuori che non c’è mai stato nessun leader o capo politico”. La stoccata del segretario del Pd arriva in mattinata, mentre Mario Draghi informa il Parlamento in vista del Consiglio Ue. Gli occhi sono puntati sul premier, ogni parola viene pesata, ogni riferimento a quello che vorrà diventare da grande l’ex capo della Bce è oro colato. Nulla tuttavia traspare da un lungo discorso, che diventa facile interpretazione di chi lo vorrebbe pronto per il Quirinale e chi invece saldo a Palazzo Chigi. Quello che emerge con chiarezza è la difesa dell’operato del suo esecutivo e della compattezza della sua squadra, con la netta volontà di non chiudere dossier che saranno caldissimi anche dopo il voto del successore di Mattarella.
Il segretario del Pd lapidario: Berlusconi non risponde all’identikit del primo garante della Costituzione
Riavvolgendo il nastro e tornando a Letta, la chiarezza dei suoi ragionamenti altro non fa che chiudere al modus operandi di Matteo Salvini, che in realtà ha come obiettivo anche quello di sondare il ‘gradimento’ del leader azzurro tra tutte le forze politiche in campo. Il capo del Nazareno è invece lapidario: Berlusconi non risponde all’identikit che gli stessi padri fondatori hanno disegnato e pensato per il primo garante della Costituzione nell’Italia repubblicana. Una doccia fredda con Letta che torna sul profilo di ‘patriota’ invocato da Meloni e che nei suoi ragionamenti veste a pennello il profilo di un inquilino del Colle come Sandro Pertini: “Dopo di lui ci sono stati presidenti consensuali con largo consenso in partenza o subito dopo”. L’ex premier dem è evidente, ha in mente un altro piano, e non ha alcuna intenzione si farsi stringere tra i paletti della coalizione di centrodestra. Il successore di Mattarella deve essere scelto da una larghissima maggioranza (non bastano i 505 voti obbligati dal quorum a partire dalla quarta votazione) , ma per trattare e per aprire la discussione Berlusconi deve uscire dalla partita.
Salvini non commenta, il ruolo di king maker alla fine non ha sortito il successo che ci si aspettava, con rinvii della discussione e un metodo di lavoro che non è stato neanche affrontato. Anche perché i sospetti sull’operazione del leader leghista sono emersi immediatamente, anche tra gli alleati con il gelo di Meloni e il silenzio di del Cav. Un vento che non soffia proprio a favore dell’uomo di Arcore, che resta chiuso a Villa San Martino, impegnato ad aggiornare il pallottoliere, segno che non ha ancora abbandonato il sogno quirinalizio. E che qualcosa stia cambiando si evince anche dalle parole di Antonio Tajani: “Berlusconi non ha mai affermato di volersi candidare al Quirinale. Siamo noi che glielo abbiamo proposto, perché è l’uomo più adatto con Mario Draghi per dare prestigio e forza al nostro Paese, a livello nazionale ed internazionale”. Non un passo indietro, ma tanta tanta prudenza in più rispetto a qualche giorno fa quando auspicava l’accoppiata Draghi-Berlusconi, uno a Chigi l’altro al palazzo dei Papi. I coi piedi di piombo ci va anche lo stesso Cav. Nessun incontro pubblico per evitare domande a cui ancora non ha una risposta definitiva, finché almeno non sarà tutto più chiaro. Una strategia ragionata, un po’ per osservare cosa davvero nascondono i colloqui riservati di Salvini, e un po’ per guadagnare tempo e capire se Draghi davvero primo o poi scioglierà la riserva. E proprio al premier continua a non risparmiarsi in lodi: “Credo che uno dei meriti storici del Governo Draghi, al di là dell’ottimo lavoro di contrasto alla pandemia e di ripartenza economica, sia proprio quello di aver creato le condizioni per tornare – una volta esaurita questa esperienza straordinaria e irripetibile – ad un bipolarismo più maturo, fondato sul rispetto per l’altro e sul comune senso di appartenenza alla Nazione, alla Patria che tutti ci rappresenta, alla sua Costituzione, alle sue istituzioni democratiche”. Una figura insomma con cui neanche Berlusconi vuole competere per arrivare al soglio più alto di Roma. Una cosa è certa, ragionano tra i divanetti del Transatlantico, “Draghi svelerà le sue intenzione solo se non vorrà andare al Colle, un chiaro sì lo esporrebbe a franchi tiratori. E non può permetterselo”.
Mattarella dal Papa per l’ultima visita ufficiale
Intanto Mattarella avvia le ultime due settimane di attività, prima di chiudersi nel silenzio al Quirinale subito dopo il discorso di fine anno agli italiani. E proprio oggi l’inquilino del Colle si recherà dal Papa nell’unica visita di “commiato” ufficiale. Appuntamento alle 9,30, con il palazzo Apostolico blindato e lontano dagli occhi indiscreti dei giornalisti. Un segnale, rilevano alcuni, della sua ferma volontà di lasciare di concludere il mandato senza la possibilità del bis. Tutti però ricordano l’analogo incontro di Giorgio Napolitano con Benedetto XVI il 4 febbraio 2013. Anche allora il capo dello Stato aveva attraversato il Tevere a fine settennato, segno di rispetto tra due figure molto diverse, ma che negli anni avevano coltivano rispetto e fiducia reciproca. Il destino tuttavia volle scrivere un altro finale: Ratzinger si dimise qualche giorno dopo, l’11 febbraio, e Napolitano il 20 aprile dello stesso anno fu rieletto capo dello Stato. Due eccezioni della storia, sia cattolica e che repubblicana.
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