Il premier ottiene 95 sì a Palazzo Madama ma la maggioranza, di fatto, non c'è più. Stamattina l'intervento alla Camera in cui annuncerà le sue dimissioni, poi il Cdm e la salita al Colle da Mattarella

La maggioranza non c’è più. Mario Draghi ne era convinto una settimana fa, ma adesso – dopo aver parlamentarizzato la crisi come chiesto da Sergio Mattarella – sono i numeri a dargli ragione. Il Governo dopo una maratona di dichiarazioni, riunioni e tentativi di mediazione in extremis incassa la fiducia al Senato con appena 95 voti a favore e 38 contrari. Votano sì solo Pd, Ipf, Iv, Leu e Italia al centro. FI e Lega escono fuori dall’aula, il M5S resta dentro ma si astiene. Ai partiti il premier chiede se sono “pronti” a “rinnovare il patto di fiducia” per il quale si erano impegnati 18 mesi fa. Elenca le cose fatte, chiede impegni precisi su quel che resta da fare, dal ddl concorrenza con le riforme da scrivere su taxi e balneari, alla giustizia, dal Pnrr alle misure per mettere il Paese in sicurezza sul fronte energia, perché “non è possibile affermare di volere la sicurezza energetica degli italiani e poi, allo stesso tempo, protestare contro queste infrastrutture”. “All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi – scandisce – Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese”. Parla agli italiani l’inquilino di palazzo Chigi, perché è “per loro” che lui è in aula ed è “a loro” che le forze politiche devono risposte.

Crisi governo, il discorso di Draghi dal Senato
Crisi governo, il discorso di Draghi dal Senato

Dopo le sue parole, però, i distinguo crescono. E’ soprattutto la Lega a storcere il naso. Matteo Salvini non gradisce la sottolineatura fatta su concorrenza e fisco. Roberto Calderoli mette nero su bianco il malcontento firmando una risoluzione che vira sul Draghi bis, mettendo fuori il M5S e chiedendo un rimpasto: il Senato,si legge, “accorda il sostegno all’azione di un governo profondamente rinnovato sia per le scelte politiche sia nella composizione”. Nel frattempo il leader del Carroccio va a villa Grande per un nuovo vertice fiume con Silvio Berlusconi. Anche Giancarlo Giorgetti è presente, ma al più ‘governista’ degli uomini del Carroccio non resta che prendere atto della situazione: “Salvini e Berlusconi vogliono votare”, confida ai suoi.

Crisi governo, il discorso di Draghi dal Senato

La situazione è ben oltre il livello di guardia. Si va delineando quella che Enrico Letta a sera definirà “una giornata folle”. Anche Sergio Mattarella è in campo. L’inquilino del Colle sente sia Salvini che Berlusconi, ma ormai – filtra da Villa Grande – la decisione è presa. I contatti continui con Giorgia Meloni confermano che il centrodestra ha deciso di capitalizzare un possibile successo alle urne in autunno (il 2 ottobre, la data che va per la maggiore). Anche perché, assicurano da palazzo Chigi, mentre le trattative sono ancora in corso, un Draghi bis “non è un’opzione percorribile”.

“Bisognerà capire anche cosa vuole la Lega – è la linea – perché se il M5S si sfila, che a sostituire il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli sia il sottosegretario in carica (il leghista Gianmarco Centinaio, ndr) è nelle cose. Ma se il Carroccio parla di nuovi nomi e mette in mezzo Speranza e Lamorgese non è possibile”. A depositare un’altra mozione è Pier Ferdinando Casini. Il testo recita testualmente: “Udite le comunicazioni” del presidente del Consiglio “il Senato approva”. “Capiremo dal voto delle risoluzioni cosa vogliono fare i partiti”, insistono da palazzo Chigi. Nel corso della replica Draghi usa ancora una volta parole chiare: “Il sostegno che ho visto nel Paese, la mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del governo è senza precedenti e impossibile da ignorare. E’ questo sostegno che mi ha indotto a proporre o riproporre il patto di coalizione e sottoporlo al vostro voto. Siete voi che decidete. Quindi niente richieste di pieni poteri”, scandisce prima di porre – lui in prima persona, togliendo dall’ambasce il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà – la questione di fiducia sulla risoluzione a firma Casini. Allo “stupore” del centrodestra per aver scelto il testo di “un parlamentare eletto con la sinistra”, segue una riformulazione del testo di Calderoli, sottoscritta questa volta da tutto il centrodestra che propone l’appoggio esterno. Lega e FI non voteranno la fiducia.

Il M5S, che di fatto ha aperto la crisi lasciando l’aula del Senato sul decreto aiuti si trincera nel silenzio per ore. Dario Franceschini prima e il segretario Pd e Roberto Speranza poi provano a mediare fino all’ultimo, ma Giuseppe Conte alla fine sceglie di mantenere l’astensione: “Draghi ha avuto un atteggiamento sprezzante – accusa a sera – siamo stati messi alla porta”.

Il premier dopo il voto, però, decide di non salire al Quirinale. La parola fine verrà scritta oggi. Draghi potrebbe annunciare alla Camera le sue dimissioni, convocare il Cdm per annunciare la scelta di lasciare e poi andare al Quirinale per ribadire le sue intenzioni. Certo, la situazione “è molto delicata e preoccupa molto”, ragionano in ambienti di Governo. Domani gli osservatori si attendono un tonfo dei mercati e già oggi lo spread “ha raggiunto i livelli della Grecia”. Si guarda poi alla riunione del board della Bce sullo scudo anti spread e alle agenzie di rating. Per non dimenticare la guerra in Ucraina. “Draghi è un servitore dello Stato e vuole mettere il Paese il più possibile al riparo dalla catastrofe – è la linea – se il destino è segnato, c’è modo e modo di compierlo. Serve un’uscita di scena ordinata”.

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