400 deputati e 200 senatori saranno eletti il 25 settembre, le regole del gioco sono le stesse del 2018. Tra collegi uninominali, circoscrizioni proporzionali e soglie di sbarramento, ecco tutto quello che c'è da sapere

Non sarà la prima volta, ma per il Rosatellum il 25 settembre sarà comunque un battesimo. La legge elettorale sperimentata nel 2018 detterà infatti le regole del voto delle prossime politiche, che vedranno per la prima volta attuato il taglio dei parlamentari. Per queste ragioni – dopo l’ok alla riforma costituzionale voluta dal Movimento 5 Stelle – in diverse occasioni alcune forze politiche avevano spinto per una modifica, che adattasse le regole del voto a un Parlamento dimezzato (400 deputati e 200 senatori elettivi).

La legge è sostanzialmente identica per Camera e Senato. Identico stavolta è anche il corpo elettorale, dopo che la legge costituzionale ha parificato l’elettorato attivo a 18 anni (legge costituzionale 1/2021). In origine i 630 seggi della Camera erano così distribuiti: 232 collegi uninominali, 386 in circoscrizioni proporzionali a cui si aggiungevano 12 eletti all’estero. Al Senato i numeri erano rispettivamente 116, 193 e 6. Ora la Camera è eletta sul territorio nazionale in 147 collegi uninominali, 245 circoscrizioni proporzionali a cui si aggiungono 8 eletti all’estero. Al Senato i numeri sono 74, 122 e 4.

Per l’elettore il voto è unico: la sua preferenza infatti va a una lista, collegata a un candidato nel collegio uninominale. Non è possibile il voto disgiunto. I partiti possono presentarsi da soli (in quel caso ad una lista corrisponde un candidato nell’uninominale) o coalizzati (in quel caso a più liste corrisponde un unico candidato). La coalizione deve essere la stessa su tutto il territorio nazionale, ma non deve avere un simbolo o un programma comune. Ogni forza politica – anche se dichiara l’apparentamento – avrà il suo contrassegno, il suo programma e l’indicazione del capo politico. Nella parte proporzionale ci si presenta con liste bloccate corte. I candidati si possono presentare o alla Camera o al Senato in un collegio maggioritario e in massimo 5 proporzionali. In caso di elezione in entrambi i canali si è considerati eletti nel maggioritario; nel caso di elezione in più collegi proporzionali si è considerati eletti dove la lista è andata peggio in percentuale.

Se l’elettore vota solo il candidato nel collegio uninominale ed esso è collegato a più liste, il voto è spalmato pro quota tra le diverse liste che lo appoggiano. Il sistema è costruito in maniera tale che il totale dei voti attribuiti alle liste e il totale dei voti attribuiti ai candidati ad esse collegati siano identici.

In ogni collegio uninominale è eletto il candidato primo arrivato, con la maggioranza relativa dei voti. Per la parte proporzionale i seggi sono spartiti tra le liste e le coalizioni che abbiano superato il 3 per cento dei voti. Ogni lista sia alla Camera sia al Senato ha uno sbarramento nazionale del 3%, mentre le coalizioni, per essere considerate tali, hanno uno sbarramento nazionale del 10% e devono avere almeno una lista sopra il 3. In caso di liste in coalizione, se la percentuale è tra l’1 e il 3 per cento i voti si riversano pro quota sulle altre liste coalizzate che hanno superato il 3%. Sotto l’1 si perdono.

All’estero si vota con la proporzionale e le preferenze: anche in questo caso la riduzione degli eletti impatta alzando di fatto le soglie di sbarramento nelle varie circoscrizioni. Dove i seggi sono più di 1, alla Camera, si usa il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti (Camera: Europa 3 seggi, America Meridionale 2, America Settentrionale e Centrale 2) le altre ripartizioni funzionano da collegio uninominale maggioritario (alla Camera quella Africa, Asia, Oceania e Antartide, al Senato tutte e 4). Dentro le liste si procede con la graduatoria decrescente dei voti di preferenza.

Mentre al Senato individuare i singoli eletti nel proporzionale è una cosa abbastanza semplice perché ci si ferma al livello regionale (i livelli sono al massimo due: circoscrizione regionale e nelle più grandi più 2 collegi plurinominali o al massimo 3 in Lombardia), alla Camera purtroppo il metodo è più contorto.

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