Dalla morte di David Sassoli e la rielezione di Mattarella alla prima donna premier, Giorgia Meloni
L’anno che ci lasciamo alle spalle, dal punto di vista politico è sicuramente uno tra i più interessanti della storia recente della Repubblica. Dalla fine del governo ‘dei migliori’, guidato da Mario Draghi, all’arrivo a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, prima presidente del Consiglio donna, passando per la rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, e con gli effetti funesti per le tasche dei cittadini dovuti alla guerra in Ucraina sullo sfondo, dietro ad ogni tappa del 2022 c’è un Paese alle prese con un periodo di grandi cambiamenti. Ma procediamo con ordine.
Che l’orizzonte temporale del governo Draghi non fosse così distante lo aveva lasciato intendere lo stesso ex presidente della Bce nel corso della conferenza stampa di fine anno, 12 mesi fa. In quell’occasione Draghi aveva rimarcato l’imprescindibilità del suo esecutivo dalla maggioranza che lo sosteneva. La scadenza naturale del suo governo sarebbe avvenuta nel 2023, e il ‘nonno al servizio del Paese’ aveva di fronte a sé una serie di importanti sfide. Ciò che probabilmente Mario Draghi non immaginava in quella circostanza era che sarebbero bastati sette mesi per assistere al collasso di quella maggioranza. ‘Il futuro del Paese – aveva detto Draghi – non è determinato dal singolo, ma da un complesso di forze politiche che permetteranno di andare nella direzione giusta’. L’ex premier in qualche modo contava sulla tenuta del suo governo pur consapevole delle possibili fratture che potevano attraversare la maggioranza in vista di un appuntamento cruciale del 2022: l’elezione del Presidente della Repubblica.
Tutti i fatti del 2022
In un Paese commosso per la prematura scomparsa del presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, la scadenza del mandato di Sergio Mattarella viene visto con grande incertezza dalle forze politiche. L’indicazione offerta dal Presidente nel corso dell’ultima parte del suo primo settennato era chiara: non ci sarebbero stati margini per una sua nuova rielezione al Quirinale. Una determinazione ribadita plasticamente, nei giorni che anticipavano la seduta comune di Camera e Senato, dalla sua ricerca di un appartamento dove trasferirsi una volta conclusa l’esperienza da capo dello Stato. Così come l’immagine degli scatoloni in procinto di lasciare l’ufficio sul colle più alto di Roma postati su Twitter dal suo portavoce, Giovanni Grasso. L’elezione del Presidente della Repubblica avviene in un Paese ancora alle prese con le misure di sicurezza legate alla pandemia, e con alcuni grandi elettori positivi al covid che sfilano in auto davanti all’urna allestita nel parcheggio di Montecitorio. Il 29 gennaio, all’ottavo scrutinio, dopo giorni di incertezza, Sergio Mattarella viene riconfermato capo dello Stato con 759 voti. Nel suo discorso d’insediamento il Presidente della Repubblica ha parlato, tra le varie cose, della necessità di attuare nel modo più efficace la spesa dei fondi del Pnrr, nonché del ruolo dell’Italia nell’Unione Europea. Un discorso in cui la parola ‘dignità’ riecheggia più volte, così come i riferimenti alla necessità di ritrovare la via del dialogo per sopire i venti di guerra Russo-Ucraini. Appena venti giorni dopo, quel vento di guerra diventava una tempesta con il presidente russo Vladimir Putin che dava il via all’invasione dell’Ucraina.
A Palazzo Chigi, Mario Draghi prosegue la sua missione da economista-stratega al servizio del Paese. Il 10 maggio vola a Washington per incontrare il presidente americano Joe Biden. Durante l’incontro i due leader rafforzano l’intesa politica e militare per contenere l’invasione della Russia in Ucraina, varando il primo di una lunga serie di sostegni economici al Paese di Zelensky. Intanto, alla vigilia dell’estate, la maggioranza che sostiene il governo Draghi inizia a scricchiolare pesantemente. Il 21 giugno il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, preoccupato dalle minacce di far cadere il governo mosse dal leader politico del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, dà vita alla più importante scissione del partito fondato da Beppe Grillo. Lo seguono 61 parlamentari. La mossa, volta a garantire il sostegno al premier, sancirà la fine politica dell’ex vicepremier che alle elezioni del 25 settembre raccoglierà appena lo 0,6% di consensi.
Il capolinea del governo Draghi si materializza a luglio. A innescare la crisi, il 14 luglio, è il Movimento 5 Stelle al Senato che non vota la fiducia richiesta sul dl Aiuti. I parlamentari pentastellati si oppongono alla norma relativa alla costruzione del termovalorizzatore di Roma. Draghi, già convinto che non ci sarebbero state maggioranze alternative a supporto del suo governo, a quel punto presenta le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica che le respinge invitandolo a presentarsi in Parlamento per effettuare una valutazione della situazione creatasi. Il 20 luglio, a conclusione del suo intervento in Senato, l’esecutivo ottiene la fiducia con 95 voti favorevoli e 38 contrari. Tuttavia la mancata partecipazione al voto di Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega impedisce l’ottenimento della maggioranza assoluta (pari a 161 voti). Il giorno dopo, Draghi reitera le sue dimissioni al Capo dello Stato, che le accetta, prendendo atto che il governo non gode più di una maggioranza parlamentare, e decreta lo scioglimento anticipato delle Camere.
In piena estate il Paese si trova dunque in campagna elettorale, con i leader politici alla ricerca di consensi sulle spiagge e sotto gli ombrelloni, e con il timore – poi confermato – di un astensionismo record. La campagna elettorale del Pd inizia con l’accordo siglato da Enrico Letta e Carlo Calenda. Un’intesa che dura il tempo di una foto, e naufragata in pochissimi giorni mandando a pezzi il ‘campo largo’ in tre parti: Movimento 5 stelle, Azione e Italia Viva che nel frattempo danno vita al Terzo polo, e il Partito democratico. A riempire le piazze è però Giorgia Meloni, protagonista di una campagna che la vede macinare consensi in piazza e nei sondaggi trasformando Fratelli d’Italia nel vero motore trainante della coalizione di centrodestra. In questo scenario, gli altri due leader del centrodestra, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, appaiono assai ridimensionati al cospetto di Meloni che punta dritta a Palazzo Chigi, e costretti a un inedito ruolo di comprimari all’interno della coalizione. Tra i temi della campagna elettorale ‘balneare’ c’è il reddito di cittadinanza, che il centrodestra vuole rimodulare dichiarando guerra a chi rifiuta le offerte di lavoro, e il caro energia che viaggia su livelli mai visti prima con famiglie e imprese costrette a fare i conti con bollette fino a dieci volte superiori rispetto alle precedenti.
Le elezioni del 25 settembre, pur caratterizzate da una percentuale di astensionismo mai registrata prima (oltre il 36%), vedono l’affermazione netta del centrodestra, con una vittoria indiscussa di Giorgia Meloni che a questo punto vede stagliarsi l’ingresso di Palazzo Chigi difronte a sè. La sua marcia verso la presidenza non è però priva di grattacapi e imbarazzi derivanti dalla coalizione. In particolare, nel pieno delle consultazioni tiene banco lo scontro tra la leader di Fratelli d’Italia e Silvio Berlusconi culminato con la diffusione, ad opera di LaPresse, di un audio esclusivo in cui il presidente di Forza Italia si lascia andare in commenti e rivelazioni sul suo rapporto d’amicizia sempre vivo con Vladimir Putin.
L’elezione di Giorgia Meloni
Il governo nasce ufficialmente il 22 ottobre 2022, quando l’Italia assiste al giuramento, davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della prima presidente del Consiglio donna: Giorgia Meloni. L’esecutivo vede Matteo Salvini e Antonio Tajani vicepremier, oltre che ministro per le Infrastrutture il primo, e agli Esteri il secondo. Il Parlamento, dieci giorni prima, aveva visto l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, e di Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera.
Le ultime settimane hanno visto la corsa contro il tempo per l’approvazione della legge di Bilancio entro il 31 dicembre per scongiurare l’esercizio provvisorio. A tenere banco sono state le misure per il contenimento del carovita e i temi del tetto al contante, fissato a 5mila euro, e dell’imposizione di un limite di spesa di 60 euro per le transazioni con il pos. Misure su cui maggioranza e opposizione si sonno date battaglia, ma che alla fine non hanno trovato spazio nel testo definitivo. La manovra ha invece previsto, tra le varie cose, lo stanziamento di 21 miliardi a sostegno di famiglie e imprese alle prese con il caro energia, il taglio degli oneri impropri delle bollette per tutti e bonus sociale rafforzato per le fasce più fragili. Confermato poi l’esonero contributivo del 2% per redditi fino a 35mila euro. Per autonomi e partite Iva la tassa piatta è estesa ai redditi fino a 85mila euro e arriva una flat tax incrementale al 15% con una franchigia del 5% e un tetto massimo di 40mila euro. Per quanto riguarda i giovani, l’App18 si sdoppia in due carte, cumulabili, che assegnano ai ragazzi 500 euro ciascuna: una per chi ha un Isee familiare fino a 35mila euro ed una per gli studenti che si diplomano con il massimo dei voti. I nati nel 2004 usufruiranno, invece, del bonus nella versione originaria. Il reddito di cittadinanza sarà corrisposto nel 2023 per 7 mesi agli occupabili. Gli altri continueranno a riceverlo fino a fine anno in attesa di una riforma complessiva. Le pensioni minime salgono a 600 per gli over 75. Sul fronte superbonus, viene esteso al 31 dicembre il termine per presentare la Cilas e poter fruire del superbonus al 110% su ristrutturazioni edilizie.
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