Verona, 50 km in bici per un pasto delivery: la denuncia

L'ex consigliere regionale Andrea Bassi ha denunciato sui social ciò che gli è accaduto: non pensava che il suo pasto sarebbe stato consegnato da un ciclofattorino

Un rider fa cinquanta chilometri in bici per consegnare un pasto, ma chi lo riceve si pente: “Rasenta lo schiavismo“. E’ ciò che è accaduto a Verona all’ex consigliere regionale Andrea Bassi, che ha raccontato la vicenda sui social, poi ripresa da ‘Il Gazzettino’.
 
“Vi voglio raccontare un fatto incredibile che mi è successo ieri sera e che mi ha fatto davvero riflettere su quanto lo sfruttamento delle multinazionali sia molto più vicino alla nostra realtà di quel che pensiamo. Per questioni pratiche, ordino online presso una nota catena di fast-food optando (per la prima volta nella mia vita) di ricevere il tutto a casa. La catena però non effettua consegna diretta ma si avvale di altre realtà. Casualmente scelgo Deliveroo e pago il tutto con Paypal. Sono le 18.40 circa e la consegna stimata è dopo un’oretta, ma non ho alcuna fretta – scrive su Facebook – Alle 20.50 il fattorino doveva ancora arrivare. Deliveroo non dava alcun riferimento telefonico e quindi decido di chiamare la catena di fast-food per chiedere spiegazioni di un simile ritardo. Si sono ovviamente scusati, mi hanno spiegato che il problema non dipendeva dal loro personale e mi hanno però garantito che entro poco la cosa sarebbe stata risolta. Alle 21.10 circa, finalmente, l’applicazione di Deliveroo inizia a segnalare l’avvicinamento (molto lento) del fattorino alla mia abitazione”.
 
E poi racconta: “Scendo bellicoso in strada pronto per chiedergli se fosse andato a farsi prima un giro sulla Luna, ma ad un tratto rimango di sasso, basito: il ragazzo (italianissimo) era a bordo di una bicicletta, tra l’altro parecchio carente sotto il profilo della sicurezza. Ho poi pure capito che era oberato di consegne e che ha dovuto attraversare praticamente l’intera città di Verona, per correre al fast-food, prendere la mia cacchio di cena, portarmela sotto casa e poi tornare nel capoluogo per chissà quale altro giro. Ovviamente l’incazzatura si è subito trasformata in pena e quasi angoscia che, se lo avessi avuto, gli avrei prestato pure un motorino…. Morale? Ho deciso che mai e poi mai più utilizzerò questo tipo di servizio. Non tanto per il rischio di ritardi o disguidi (che possono accadere, ci mancherebbe), ma soprattutto per non rischiare di avallare, seppur inconsapevolmente, un simile sistema che in queste condizioni rasenta lo schiavismo!”.

Tribunale Torino: ‘rider come subordinati’

Intanto è di ieri la notizia che il tribunale di Torino ha dato ragione a otto ciclofattorini di Glovo che avevano fatto ricorso per essere riconosciuti come lavoratori subordinati. Verrà loro riconosciuta una somma di denaro per colmare la differenza retributiva per il tempo in cui erano collegati all’app. Respinti però altri punti, uno dei quali riguardava il tema della sicurezza sul lavoro. “Su questo faremo ricorso in appello – dice l’avvocata Giulia Druetta – Questi lavoratori venivano messi su strada in condizioni di pericolo, senza alcun tipo di tutela sulla sicurezza senza visita medica pre-assuntiva, sorveglianza sanitaria, informazione e formazioni sui rischi. Il lavoratore ha diritto alla salute e sicurezza e quindi ha diritto non essere esposto a rischio, la normativa non è utile a prevenire gli eventi infausti se si viene risarciti solo se il rider si fa male o muore”. E aggiunge: “Del tema si è occupata la procura di Milano ma Glovo afferma di aver ricevuto solo una multa da 15mila euro” dice ancora Druetta.