La crescita 2023 centra l'1%, il deficit verso il 4,5%. In calo il debito
Settimana di fuoco per il governo, alle prese con l’approvazione in Consiglio dei ministri del Def e con la partita delle nomine che sta suscitando fibrillazioni in maggioranza. Il tempo per entrambi è poco, poiché il ministro dell’Economia – che firma il documento di economia e finanza e con il Tesoro è azionista di riferimento dei ‘gioielli di Stato‘, mercoledì è atteso a Washington per gli spring meeting del Fondo monetario internazionale. Una sorta di ‘esame’ per il ministro che avrà appena messo nero su bianco le stime del governo per la crescita del Paese, improntate, assicurano dal Mef, con prudenza nelle previsioni e serietà nell’approccio ai conti pubblici. Nel quadro tendenziale si legge una crescita per l’anno in corso allo 0,9%, in rialzo dallo 0,6% ipotizzato nello scenario programmatico della Nadef di novembre, grazie a un primo trimestre migliore delle attese che porta anche il deficit al 4,35%. Nello scenario programmatico la crescita per quest’anno è fissata al 1%, salendo al 1,4% nel 2024; il deficit viene stimato al 4,5% nel 2023, per scendere lo scorso anno rimanendo comunque sopra il 3%.
Numeri leggermente più alti che si traducono in risorse per la manovra del prossimo autunno: il Def di fatto è il primo vero atto di politica economica del governo Meloni, che fornisce il quadro macro e in cui si delineano le misure che il governo intende portare avanti e sul cui aggiornamento di settembre, la Nadef, si imposterà poi la legge di bilancio a ottobre. Fermata l”emorragia’ del Superbonus, il governo ha deciso di attenersi alle stime più basse tra quelle ipotizzate, proprio per perseguire un approccio prudente, necessario alla luce dell’incertezza economica globale, sperando poi che lo scenario macroeconomico riveli risultati migliori delle attese. E senza distogliere l’attenzione dal calo del debito, che dal 144,4% dello scorso anno dovrebbe scendere al 140,9% nel 2025. Del resto che la situazione sia complessa lo rilevano tutti gli organismi internazionali. La banca mondiale ha rivisto al rialzo le stime di crescita globali del 2023, ipotizzando un 2% contro l’1,7% precedente, ma “nonostante la resilienza dei consumatori, le riaperture della Cina, la crescita globale rimarrà sotto il 3% quest’anno e, cosa più preoccupante, rimarrà intorno al 3% per i prossimi 5 anni – ha rimarcato la direttrice generale del fondo monetario internazionale Questo preoccupa soprattutto per quanto riguarda le fasce più deboli e per i paesi più poveri”.
L’altra partita su cui si potrebbe arrivare a un punto prima della partenza di Giorgetti per gli Stati Uniti è quella delle nomine. Prima del Cdm di domani, ma più probabilmente dopo, dovrebbe esserci una riunione di maggioranza sul punto che vede gli animi tutt’altro che distesi, con Lega e FI innervositi dall’intenzione di Meloni di ascoltare poco gli alleati per i vertici delle grandi aziende. Si parte da Fs, il cui Cda si riunirà lunedì 17: la Lega di Matteo Salvini ha praticamente lanciato un Opa e preme per la presidenza di Dario Lo Bosco a Rfi, mentre per il ruolo di Ad di Fs resta in corso l’attuale, Luigi Ferraris, il cui nome circola anche per altre posizioni. La stagione assembleare entrerà poi nel vivo a maggio – l’8 Poste, il 9 Terna e Leonardo, il 10 per Enel ed Eni. A Eni sembra ormai portata a casa la riconferma di Claudio Descalzi, grazie anche al buon rapporto instaurato con la premier durante le visite in Africa per stringere accordi sul gas in sostituzione delle forniture russe, mentre la Lega prova a strappare la poltrona della presidenza. In Enel, tramontata la stella dell’amministratore Francesco Starace, il nome è sempre quello dell’attuale numero uno di Terna, Stefano Donnarumma – contro si sarebbe espresso Matteo Salvini, senza avere, pare, successo -mentre difficilmente la spunterà Paolo Scaroni, che FI e Lega spingono per la presidenza: al suo posto potrebbe arrivare Leonardo Luciano Carta.
A Terna invece salgono le quotazioni di Giuseppina Di Foggia, attuale ad Nokia, anche per dare quel segnale che Meloni vuole fortemente e di cui ha parlato esplicitamente in occasione dell’8 marzo: “La sfida – aveva detto – non è quante donne siedono in un Consiglio di amministrazione, la sfida è quando avremo il primo amministratore delegato di una società partecipata statale donna, perché, ve lo annuncio, è uno degli obiettivi che mi do”. A Leonardo sembrava fatta per il passaggio di testimone tra Alessandro Profumo e Lorenzo Mariani, ad di Mbda sostenuto dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Palazzo Chigi però sembra più propenso a scegliere Roberto Cingolani, attualmente consigliere per l’Energia. A Poste Italiane dovrebbe essere fatta per la riconferma di Matteo Del Fante. Ma il fischio finale è ancora lontano.
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