Un parere del ministero dell’economia che di fatto ‘promuove’ il Mes e accende lo scontro tra maggioranza e opposizioni in commissione esteri alla Camera. Il centrodestra che va sotto in commissione bilancio al Senato sui pareri al pacchetto di emendamenti presentati dalla relatrice Paola Mancini (Fdi) al decreto lavoro. È questo l’uno-due che fotografa una giornata ‘nera’ per la maggioranza in parlamento. I fatti. Il disegno di legge di ratifica del Mes, in quota opposizioni, è calendarizzato nell’aula della camera per il 30 giugno. Il parere del Mef, richiesto dalla commissione quasi due mesi or sono, e arrivato qualche giorno fa sulla scrivania del presidente Giulio Tremonti non lascia molti dubbi: “per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica – si legge – dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità del 2012“. Il testo scombussola la maggioranza, che chiede più tempo per esaminarlo. Le opposizioni, allora, alzano i toni per procedere subito con le votazioni. La bocciatura è a un passo: il centrodestra – Lega in testa – si dice infatti pronto a votare, respingendo il testo base e dicendo quindi no alla ratifica. Le opposizioni decidono allora di non forzare la mano e i lavori vengono rinviati di 24 ore. Per palazzo Chigi non si tratta di un fulmine a ciel sereno: Giorgia Meloni era a conoscenza del parere. “Il Tesoro ha fatto il suo lavoro. Quella fatta dal Mef è una valutazione tecnica, non politica. E non poteva essere diversamente – è la linea – non compete al ministero fare una valutazione politica, compete al parlamento farla. è il parlamento che decide”.
La posizione politica di Meloni comunque, viene assicurato, “resta la stessa espressa ultimamente”: l’Italia non utilizzerà questo strumento, che presenta troppi rischi e va modificato. La premier, però, vuole che sia il parlamento a prendere la decisione ultima e affida ai parlamentari di Fdi due obiettivi che ritiene non sacrificabili: non affossare prima dell’arrivo in aula una proposta di legge in quota opposizioni (motivo per il quale domani dovrebbe essere adottato il testo base a firma pd-iv che propone la ratifica) e non spaccare la maggioranza. Ecco perché fitta è l’interlocuzione durante tutta la giornata tra i capigruppo di maggioranza. Parere del Mef a parte infatti, “la linea politica della Lega – assicura Davide Crippa – è che il Mes non serve e noi rimaniamo su una posizione contraria alla ratifica“. I gruppi di maggioranza potrebbero decidere di astenersi o non presentarsi in commissione per lasciare poi la palla all’assemblea, con l’idea non tanto nascosta di rinviare l’approdo in aula oltre il 30 giugno, approfittando anche dell’ingorgo di decreti da approvare prima della pausa estiva.
Anche dal Senato non arrivano buone notizie per il centrodestra. La maggioranza si ritrova senza numeri in commissione bilancio al senato e vengono bocciati i pareri sugli emendamenti presentati dalla relatrice al decreto lavoro. La votazione finisce in parità: 10 a 10 e a pesare sono le assenze dei senatori di Fi, Dario Damiani (che era in ritardo perché stava festeggiando con i colleghi il suo compleanno) e Claudio Lotito. È su quest’ultimo che si concentrano i sospetti, data anche la frase raccolta da alcuni senatori di opposizione che il patron della Lazio avrebbe pronunciato arrivando in commissione dopo la bocciatura del parere: “questo è solo l’antipasto”, avrebbe detto. A pesare ci sarebbe anche la lite – messa a verbale da alcuni parlamentari – avvenuta in aula il giorno prima tra Lotito e il coordinatore di Fi Antonio Tajani. “Lotito è in rotta per come stanno gestendo il partito nel dopo berlusconi, sta con i frasciniani“, assicurano alcuni. “Ha mandato un segnale perché la maggioranza non intende approvare alcuni suoi emendamenti al ddl contro la pirateria. Sono proposte di buon senso ma non c’è il tempo di fare una terza lettura prima dell’inizio del campionato”, spiegano dalla stessa maggioranza. Lui, però, nega tutto: “nessuna dietrologia e nessun segnale politico – assicura – io sono quello con più presenze in assoluto in commissione, da quando sono stato eletto non ne ho mai saltata una e non sono mai arrivato in ritardo. Mi attengo a quello che mi dice il capogruppo: dovevamo scendere a una certa ora e siamo scesi”.
Alla fine la capigruppo decide di votare un nuovo parere, e le opposizioni ottengono di alzare dello 0,1 la scala di equivalenza dell’assegno di inclusione (che si attesterebbe a 7-8 milioni l’anno) e viene cancellato il fondo da 1 mln di euro per le comunicazioni di palazzo Chigi. “È una vittoria, cancellano le marchette. Cambiano gli emendamenti e a questo punto cambia realmente anche il parere”, esultano i senatori di Pd, M5s e Iv. Elly Schlein ci va giù duro: “la verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti”, attacca, mentre Giuseppe Conte racconta sui social “le ultime 24 ore di un governo Meloni allo sbando”.