“Noi storicamente abbiamo sempre avuto una posizione contraria al Mes, sarà Meloni a dirci cosa vorrà fare, darà la linea del governo”. Le parole del capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, fotografano lo stato dell’arte sulla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità dopo la scelta della maggioranza di uscire dall’aula della commissione Esteri di Montecitorio al momento della votazione del testo base (col via libera a quello proposto dal Pd con i voti di Azione-Italia Viva e l’astensione di M5s e Avs). L’exit strategy ancora non è chiara, le posizioni nella maggioranza d’altronde non sono allineate, o almeno non ancora, quindi la road map da tracciare per uscire dall’impasse va preparata con attenzione per evitare pericolosi incidenti di percorso, anche se sia il vicepremier Antonio Tajani sia lo stesso Romeo assicurano che la tenuta dell’esecutivo non è a rischio sul Mes. La cosa certa è che a stretto giro l’obiettivo è rinviare il voto dell’Aula. Venerdì prossimo, proprio quando la premier Giorgia Meloni sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo, è il giorno fissato per l’inizio della discussione generale, ma già mercoledì (termine per la presentazione degli emendamenti al testo base) in occasione della Conferenza dei capigruppo della Camera quelli di maggioranza chiederanno di posticipare il tutto a luglio.
Lo slittamento è un percorso immaginato anche dal vicepresidente della Camera e deputato Forza Italia, Giorgio Mulè, secondo il quale il Mes alla fine “sarà ratificato, dubito entro il 30 giugno però, più probabile che avvenga a fine settembre. In Parlamento ora ci sono sei o sette decreti che devono esser approvati prima di agosto”. Il passaggio successivo potrebbe poi essere quello di apportare delle modifiche al testo dem, magari attraverso un emendamento, o proporre una mozione di maggioranza. Al momento comunque la necessità resta quella di dilatare i tempi anche perché la strategia di Meloni punta sul fatto di usare il Mes come arma negoziale in Europa, nella speranza di ottenere una riforma meno rigorosa del Patto di stabilità. La questione del Fondo salva Stati, ricorda infatti il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, “si risolve inserendola in uno scenario ampio” che prende in considerazione anche il “completamento dell’unione bancaria e il ritorno del Patto di stabilità. Bisogna ragionarci bene, non sono dettagli. L’Italia ha un dibattito parlamentare che proseguirà in questa direzione”.
Per il vicepremier Matteo Salvini, comunque, “l’Italia è il paese europeo che sta crescendo di più anche grazie ai nostri impreditori e ai nostri lavoratori e non ritengo che ci sia bisogno di mettersi in mano a fondi stranieri e a soggetti stranieri. Preferisco che infrastrutture, scuole e strade italiane vengano costruite chiedendo i soldi agli italiani, così il debito rimane italiano”. Critico anche l’altro vicepremier, Antonio Tajani: “Ero favorevole al Mes prima che arrivasse il Recovery Plan ma il regolamento attuale non pone alcun controllo da parte del Parlamento europeo e della Commissione. Il Mes ha di fatto gli stessi poteri della Commissione e questo non va bene”.
Lo stallo e la mancanza di chiarezza ovviamente finiscono nel mirino delle opposizioni. Per il leader di Azione, Carlo Calenda, “la supercazzola della maggioranza sul Mes è lo specchio di un governo in stato confusionale. È un gigantesco teatrino”. Dura anche la segretaria dem Elly Schlein: “Non posso che far notare che abbiamo trovato grave il passaggio di ieri in cui i partiti di maggioranza, per le loro divisioni, hanno disertato la votazione per il Mes. È un problema di credibilità per l’Italia. ‘Pacta sunt servanda’. Auspichiamo una celere ratifica”. “Il fronte europeo più caldo è quello del Mes – ricorda infine il presidente del M5s, Giuseppe Conte -. Che hanno fatto i nostri patrioti, le forze di maggioranza alla Camera? Hanno disertato questo fronte, non riescono a prendere una posizione. Adesso si assumano la responsabilità di approvarlo o meno, noi ci asterremo”.