Chi ha provato (e chi è riuscito) a modificare la Carta Costituzionale

Dalla prima bicamerale del 1983, ai tempi del governo Craxi, alla bocciatura tramite referendum del ddl Boschi del 2016 con Matteo Renzi a Palazzo Chigi, passando per la seconda bicamerale De Mita-Iotti del 1992 e per quella presieduta da Massimo D’Alema: sono diversi i tentativi di riforma costituzionale non andati in porto negli ultimi 40 anni, soprattutto quelli che puntavano a modificare le norme della Carta riguardanti l’esercizio del potere esecutivo e degli equilibri con gli altri organi dello Stato. Se ne torna a parlare ora con il premierato proposto dal ddl Casellati che arriverà venerdì in Consiglio dei ministri.

Le modifiche andate in porto

Gli unici rilevanti cambiamenti degli ultimi anni sono stati apportati dalla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione nel 2001 sul riparto delle competenze fra Stato e Regioni, approvata con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata dagli italiani con il referendum (a cui è seguito però il passaggio fallito alla devolution promossa dalla Lega allora guidata da Umberto Bossi). C’è stata poi l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012, con Mario Monti premier, e la legge costituzionale sulla riduzione dei parlamentari del 2020.

Le bicamerali da Craxi a D’Alema

In tre occasioni, invece, la Camera e il Senato hanno unito le forze per sondare il terreno per una riforma corposa, dando vita a una commissione bicamerale per le riforme costituzionali e per mettere mano al capitolo riguardante il governo. Ai tempi dell’esecutivo guidato da Bettino Craxi, nel 1983, ecco la prima bicamerale con la presidenza affidata al deputato liberale Aldo Bozzi. Cinquanta sedute per i 40 parlamentari, secondo i dati di Openpolis, distribuiti equamente fra Montecitorio e Palazzo Madama, che portarono a una relazione finale con al centro la revisione di 44 articoli della Costituzione. Ma il tentativo naufragò perché non sì trovò un accordo fra le forze politiche. Passano una decina d’anni e nel 1992 la Carta torna al centro del dibattito. Prende corpo così la seconda bicamerale, presieduta prima dal democristiano Ciriaco De Mita e poi da Nilde Iotti (Pds). In questo caso 60 fra deputati e senatori si misero al lavoro e, dopo 60 sedute della commissione, venne approvato un testo per la riforma di 22 articoli, presentato a entrambi i rami del Parlamento nel gennaio 1994 ma poi abbandonato per la conclusione anticipata della legislatura. Arriviamo così alla bicamerale D’Alema. In questo caso furono 70 i parlamentari coinvolti, che si sono riuniti 71 volte. Il nuovo testo ‘partorito’ approdò in Aula, ma il tutto si risolse in un nulla di fatto per l’accendersi dello scontro fra i vari partiti.

Berlusconi e Renzi bocciati da referendum

Portano la firma del terzo governo Berlusconi e dell’esecutivo guidato da Renzi gli ultimi tentativi di riforma costituzionale bocciati in questo caso da referendum. Fine del bicameralismo perfetto, aumento dei poteri del premier e presidente della Repubblica come garante della Costituzione: ecco alcuni dei punti principali della legge di revisione costituzionale approvata a maggioranza assoluta ma poi bocciata con il 61,3% di ‘No’ il 25 e 26 giugno 2006. Un percorso simile è stato quello del ddl Renzi-Boschi del 2016, con modifica del bicameralismo e del Titolo V e un nuovo iter legislativo oltre a una nuova composizione del Senato, bocciato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ma fra i tentativi di riforma della Carta andati in fumo c’è da annoverare anche quello del 2013 quando l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nominò una commissione di ‘saggi’ per migliorare l’assetto istituzionale. L’iter del disegno di legge non arrivò ad approvazione definitiva per le forti proteste delle opposizioni. Infine, negli archivi c’è spazio anche per il ‘Patto del Nazareno’ fra Renzi, allora premier e segretario del Partito democratico, e il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che si ruppe nel febbraio 2015 con l’uscita degli azzurri dalla maggioranza di governo.

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