L'intervista a 'Quarta Repubblica': "Nei prossimi tre anni privatizzazioni per 20 mld". E sul caso Ferragni: "In arrivo norma su trasparenza beneficenza"
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non scioglie la riserva sulla candidatura alle prossime elezioni Europee. “Vediamo, non ho deciso. Penso che deciderò all’ultimo, quando si formano le liste“, ha detto la premier intervistata da ‘Quarta Repubblica’ su Rete4. “Figuriamoci se io non considero importante misurarmi sempre con il consenso dei cittadini, per me quello è l’unico elemento che conta”, ha aggiunto. “Rispetto a chi dice che candidarsi alle Europee da presidente del Consiglio vuol dire prendere in giro i cittadini perché poi in Europa non si va. I cittadini che dovessero decidere di votare per una Meloni che si candida in Europa sanno che non ci va. Ciò non toglie che se vogliono confermare o non confermare un consenso, anche quella è democrazia. E per me che al prossimo giugno avrò governato per un anno e mezzo potrebbe essere importante verificare se ho ancora quel consenso dei cittadini, che è l’unica cosa che mi interessa. Per il resto i miei oppositori possono fare e dire quello che vogliono. A me interessa sapere solo se ho il consenso degli italiani“, ha proseguito. Poi ha ribadito: “È una decisione che non ho preso perché devo capire se un’eventuale candidatura toglierebbe tempo al mio lavoro. Se vedo che si può fare senza che questo tolga tempo al mio lavoro, ci rifletto, altrimenti no. Ma secondo me è un dibattito un po’ esagerato“. Secondo i sondaggi la candidatura potrebbe valere un 2% in più? “Una mia candidatura certo potrebbe trasformare l’elezione anche in un test tra leader – ha ammesso la premier – che mobiliterebbe probabilmente qualcosa di più, ed è un’altra valutazione che va fatta. Però secondo me le elezioni Europee vanno viste non solamente come un test anche per chi sta al governo, ma soprattutto vanno pensate in ragione di cosa vogliamo costruire in Europa. È quello il vero tema che io vedo ancora mancare nel dibattito. Che Europa vogliamo? Che Italia vogliamo in quell’Europa? Questo spero che sia il dibattito dei prossimi mesi perché da come si modifica la Commissione, dalle maggioranze che si creeranno noi vedremo anche che Europa c’è“. Rispetto alle percentuali di una sua possibile candidatura, la premier infine non è sbilanciata: “50%, voglio creare un po’ di suspense così – ha affermato scherzando –. Ma veramente solo questo interessa? Cambia tutto?”.
“Caso Ferragni creato da sinistra, nessuno scontro con influencer”
Ma non solo le Europee tra gli argomenti dell’intervista. Tra i temi affrontati dalla premier, anche la vicenda dell’influencer Chiara Ferragni, indagata per truffa per il caso della presunta ‘falsa beneficenza’ sui pandori natalizi Balocco. È stato chiesto a Meloni se sia pentita di aver dato risalto politico alla faccenda parlandone in occasione della kermesse di Fratelli d’Italia, Atreju. “Non sono pentita. Mi è dispiaciuto che sia stato letto come uno scontro con Chiara Ferragni, io stavo dicendo una cosa in realtà in positivo verso le persone che producono un’eccellenza, che noi vediamo attraverso gli influencer e diamo più peso a chi la ‘indossa’, rispetto a chi la produce, questo era il passaggio”, ha affermato. “È la sinistra anche lì che si è sbracciata per difendere, che ha creato il caso politico, manco avessi attaccato Che Guevara, come ho detto nella conferenza di fine anno. Sono loro che hanno creato il caso, io non volevo creare un caso“, ha sottolineato.
“Verso norma su trasparenza beneficenza”
In seguito alla vicenda Ferragni, però, Meloni ha detto che varerà nel prossimo Consiglio dei Ministri una norma per assicurare più trasparenza nelle operazioni di beneficenza. “Quello che mi interessa” del caso Ferragni “e ci sto lavorando, arriva nel Consiglio dei ministri di giovedì, è che la vicenda ha fatto vedere che effettivamente c’è un buco nella normativa delle attività commerciali che hanno anche uno scopo benefico in termini di trasparenza. Voluto e non voluto, è una cosa nella quale si può incappare. Quindi noi adesso stiamo facendo una norma che dice che per le attività commerciali che hanno anche uno scopo benefico sulla confezione di quello che vendi devi specificare a chi vanno le risorse, quante risorse vanno“, in beneficenza. “È una norma sulla trasparenza“, ha affermato.
“Privatizzazioni per 20 miliardi in 3 anni”
Poi il punto sui dossier economici e sulle privatizzazioni delle aziende partecipate dallo Stato. “Per me privatizzazione non è regali miliardari fatti a un imprenditore fortunato e amico. Significa che lo Stato può indietreggiare dove la sua presenza non è necessaria, mentre lo Stato deve avanzare quando è necessaria. Nel documento economico di bilancio prevediamo 20 miliardi in 3 anni, che sono un lavoro che si può fare con serietà”, ha detto. “Come lo immagino io? Possiamo cedere alcune quote di società pubbliche senza compromettere il controllo pubblico, e possiamo su alcune società interamente di proprietà dello Stato cedere quote di minoranza a dei privati”. Tipo Ferrovie? “Sì, anche – ha risposto Meloni – è uno dei dossier sul tavolo“. E concluso: “Lo Stato mantiene sempre il controllo quando il controllo è necessario“.
“No lezioni da chi ha dato Fiat ai francesi”
Sul tema privatizzazioni, Meloni ha anche attaccato la famiglia Agnelli/Elkann. “Ho letto una prima pagina di Repubblica che diceva ‘L’Italia è in vendita‘. Ora, francamente, che quest’accusa mi arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale”, ora “non so se il titolo fosse un’autobiografia… però le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti, anche no…”, ha dichiarato.
“Missione europea Mar Rosso è prevalentemente di difesa”
Anche la tensione nel Mar Rosso con la proposta di una missione europea nel territorio dove i ribelli Houthi dello Yemen stanno mettendo nel caos le rotte commerciali. La missione nel Mar Rosso “è prevalentemente di politica di difesa. Sappiamo cosa sta accadendo nel Mar Rosso, ne conosciamo l’importanza: da lì transita il 15% del commercio mondiale” e “impedire il passaggio dei prodotti da lì significa un aumento dei prezzi spropositato. Quindi noi non possiamo accettare la minaccia che proviene dagli Houthi nel Mar Rosso. L’Italia ha sempre sostenuto la difesa della libertà di navigazione, lo facciamo nell’ambito delle nostre normative”, ha detto la presidente del Consiglio. La premier ha ricordato che per “la missione europea di difesa non dobbiamo passare in Parlamento” ma per quella di iniziativa statunitense “sì, avrebbe significato un passaggio parlamentare. Ma l’Italia c’è, si assume le responsabilità e penso che si veda a 360 gradi. Vuol dire anche farlo con serietà”.
“Con Macron potevamo fare di più sul Patto di Stabilità”
Poi l’accordo raggiunto in sede europea sulla riforma del Patto di Stabilità. “Il Patto di stabilità chiaramente non è il mio compromesso ideale ma era il migliore compromesso possibile perché l’alternativa era tornare ai vecchi parametri, che garantisco erano decisamente peggiori”, ha detto Meloni. “Ci sono dei paesi” in Europa “che preferivano i precedenti parametri perché erano più rigidi, qualcuno lavorava per far saltare il banco della trattativa”, ha sottolineato. “Una mano da Macron sul compromesso? Io penso che lì si potesse fare un po’ di più insieme“, ha concluso.
Sul Teatro di Roma: “Finito mondo in cui tessera Pd fa punteggio”
La presidente del Consiglio ha anche parlato delle polemiche dopo la nomina di Luca De Fusco a direttore del Teatro di Roma. “L’Italia è una nazione nella quale vige l’amichettismo, ci sono questi circoli di amichettismo che hanno anche un indotto eh…è finito quel tempo. Come è finito il tempo nel quale per arrivare da qualche parte devi avere la tessera di partito. Per questo fanno il casino al Teatro di Roma”, ha dichiarato. “Abbiamo nominato, poi io non ho nominato nessuno – ha aggiunto Meloni – C’è un Cda che nomina il direttore del Teatro di Roma ed è una persona, da quello che io apprendo, con un curriculum di ferro sul piano culturale e della competenza. Non ha tessera di partito, non ha la tessera di FdI. Qual è lo scandalo? Che non ha la tessera del Pd. Perché questo è il problema, perché prima chi ci stava era il responsabile cultura del Pd, o il vice. Allora – ha insistito – avviso ai naviganti: il mondo nel quale per le nomine pubbliche la tessera del Pd fa punteggio è finito. Ci vanno le persone che hanno un merito, indipendentemente dalle tessere che hanno sottoscritto”.
“Superbonus la più grande truffa della storia”
Quando invece il conduttore Nicola Porro le ha chiesto se, trovandosi alla guida del governo durante la pandemia, avrebbe adottato la misura del Superbonus edilizio, Meloni ha risposto: “No, non lo avrei mai fatto“. E spiegato: “Non è propaganda: il Superbonus partiva da un principio condivisibile, ma il problema è come è stato fatto. Perché al netto del fatto che noi ci siamo trovati con 140 miliardi di euro di buco per tutti questi bonus, al netto del fatto che con il tema della cessione dei crediti abbiamo favorito banche, intermediari, che ricompravano quei crediti al 30%, la norma è scritta così male che si è configurata come la più grande truffa ai danni dello Stato italiano della storia, per i miliardi di euro di truffe che stanno venendo fuori. È qualcosa che non si è mai visto prima su un unico provvedimento. Risorse pagate da tutti perché c’era qualcuno che andava in giro a dire ‘gratuitamente ti ristrutturi casa’, ma a Roma si dice ‘daje a ridere’, nel senso che lo Stato non fa mai niente di gratuito, perché sono soldi tuoi, quindi se te li mette da una parte te li sta togliendo da un’altra, e già questo configura la serietà di alcuni slogan. Inoltre, la misura costa a ciascun italiano, neonati compresi, e compresi quelli che non hanno una casa, più di 2mila euro a testa. Poi c’è anche il tema che l’Ufficio parlamentare di bilancio stima che il 50% di queste risorse sono andate a beneficio del 10% della fetta più ricca della popolazione, cioè gente che non aveva una casa ha pagato per ristrutturare la seconda casa del milionario”.
“Politica estera Italia non cambia se torna Trump”
Infine, il tema delle elezioni negli Usa. “Non posso dire” se con una eventuale vittoria di Donald Trump “cambierà la politica estera americana. Ma che cambi la nostra politica estera, questo no“, ha affermato. “Quello che spesso non si capisce nella lettura della politica estera all’interno del dibattito italiano è che noi consideriamo la politica estera fatta tra Stati come una politica fatta tra partiti“, ha spiegato, “Italia e Stati Uniti sono due alleati solidissimi, e hanno sempre avuto ottime relazioni indipendentemente dal cambio del presidente del Consiglio italiano o dal cambio del presidente americano”. E aggiunto: “Oggi si discute del fatto che con Trump cambierebbero le cose, ma ricordiamo quali erano i rapporti al tempo della presidenza Trump per esempio con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte? Il problema della politica estera italiana è che spesso è stata fatta soprattutto da cheerleader, dove si stava lì a fare le campagne elettorali per i leader degli altri paesi, che però nelle altre nazioni che difendono i loro interessi nazionali non si sviluppa così. Gli altri guardano al loro interesse nazionale“. Poi ha concluso: “Di solito le altre nazioni hanno una politica estera che comunque muta pochissimo al mutare dei governi. Da noi è stato un po’ diverso, ma perché noi abbiamo una difficoltà nell’anteporre l’interesse complessivo della nazione, ma questo non mi coinvolge perché per me l’interesse dell’Italia viene prima di tutto“.
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