I dubbi sono tutti sulla sua eventuale candidatura alle prossime elezioni europee, nodo che scioglierà “all’ultimo, quando si formano le liste”. Per il resto, Giorgia Meloni nel salotto televisivo di ‘Quarta Repubblica’ mostra di avere più di una certezza. La prima riguarda il piano di privatizzazioni messo in cantiere dal governo che presiede. “Nel documento economico di bilancio prevediamo 20 miliardi in 3 anni, che sono un lavoro che si può fare con serietà – assicura la premier intervistata su Rete4 -. Come? Possiamo cedere alcune quote di società pubbliche senza compromettere il controllo pubblico, e possiamo su alcune società interamente di proprietà dello Stato cedere quote di minoranza a dei privati“. Il tutto senza fare “regali miliardari a qualche imprenditore fortunato e amico”. Sul tema, in particolare, la premier mette nel mirino ‘Repubblica’ rivelando che “mi ha fatto un po’ sorridere l’accusa che ho letto in prima pagina che diceva ‘L’Italia è in vendita‘. Ora, francamente, bello tutto, ma che quest’accusa mi arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale… Ora non so se il titolo fosse un’autobiografia ma francamente le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti, anche no”.
E non è un no, ma neanche un sì, la risposta che la presidente del Consiglio dà invece quando le si chiede se ci sarà al test delle Europee. “Per me, che al prossimo giugno avrò governato per un anno e mezzo, potrebbe essere importante verificare se ho ancora il consenso dei cittadini” afferma, ribadendo però di non aver ancora preso una decisione tanto che in termini di percentuale non si sbilancia: “50%. Devo capire se un’eventuale candidatura toglierebbe tempo al mio lavoro. Se vedo che si può fare senza che questo tolga tempo al mio lavoro, ci rifletto, altrimenti no”. “Un’altra valutazione che va fatta”, aggiunge però, è quella legata al fatto che una sua candidatura “potrebbe trasformare l’elezione anche in un test tra leader“. In ballo c’è infatti il duello a distanza con la segretaria dem Elly Schlein, che si concretizzerà prossimamente con un duello in tv. Anche perché, riconosce, nonostante “Pd e M5s nella dinamica italiana sono due facce della stessa sinistra“, poi “se parliamo della dinamica europea, storicamente il confronto è tra conservatori e socialisti, quindi diciamo che l’interlocutore naturale è il Pd, anche perché la posizione del M5s in Europa è più marginale e non è chiarissima”. Un colpo al partito di Giuseppe Conte che fa il paio con quello sferrato quando si torna a parlare di Superbonus che secondo la leader di FdI si è configurato come “la più grande truffa ai danni dello Stato italiano della storia“.
Restando in tema economico, Meloni sul piano interno difende la tassa sugli extraprofitti delle banche (“da quando l’abbiamo varata i tassi che vengono riconosciuti sui depositi sono aumentati del 50% per le imprese e del 25% per le famiglie, e il credito è aumentato“) mentre parlando del Patto di stabilità riconosce che quello siglato a Bruxelles “non è il mio compromesso ideale ma era il migliore possibile perché l’alternativa era tornare ai vecchi parametri, decisamente peggiori”. “Una mano da Macron sul compromesso? Penso che lì si potesse fare un po’ di più insieme“, confessa. Parlando poi di politica estera, la premier, appena rientrata dalla missione a Istanbul, non ha problemi a spiegare che “io e il presidente Erdogan sulla genesi della crisi mediorientale non siamo d’accordo“, che “non possiamo accettare la minaccia che proviene dagli Houthi nel Mar Rosso”, e che la linea dell’Italia sui tanti dossier aperti “non cambierà” se Donald Trump dovesse vincere le presidenziali Usa. Meloni anticipa anche che ai primi di febbraio riceverà a palazzo Chigi neopresidente argentino Javier Milei: “Sono stata il primo leader che ha sentito in Europa. È sicuramente una personalità affascinante”.
Infine, tra le certezze messe in fila, la presidente del Consiglio è netta nell’affermare che in Italia “il tempo dell”amichettismo’ è finito. Adesso le carte le do io, nel senso che le danno gli italiani. È finito il tempo in cui, per arrivare da qualche parte, dovevi avere la tessera di partito. Questo è il tempo del merito, per questo fanno il casino al Teatro di Roma” dove, conclude, è stato nominato un nuovo direttore (Luca De Fusco) “con un curriculum di ferro sul piano culturale e della competenza. Qual è lo scandalo? Che non ha la tessera del Pd“.