Convocare Michele Emiliano in commissione Antimafia, sciogliere il comune di Bari, affidare a un altro sindaco – e non più ad Antonio Decaro – la guida dell’Anci. Il centrodestra non molla la presa sul presidente della Regione Puglia e getta benzina sul fuoco delle polemiche dopo le parole pronunciate sabato dal palco di Bari.
Il governatore pugliese ha raccontato di quando, nel 2004, da sindaco, insieme all’allora assessore ai lavori pubblici Antonio Decaro che era stato minacciato dalla mafia, andò a casa della sorella del boss Antonio Capriati. “Deve lavorare perché c’è il pericolo che qui i bambini possano essere investiti dalle macchine. Quindi, se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza, te lo affido”, racconta Emiliano di aver detto alla donna.
E se il governatore si difende ribadendo di essere stato frainteso, è lo stesso sindaco di Bari a correggere il tiro: “Su quell’episodio in particolare, di quasi venti anni fa, Emiliano non ricorda bene. È certamente vero che lui mi diede tutto il suo sostegno, davanti alle proteste di buona parte del quartiere, quando iniziammo a chiudere Bari Vecchia alle auto, ma non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella”, dice sicuro e racconta la sua versione: “Dopo qualche diverbio con alcuni residenti, un giorno, mentre entravamo nella Cattedrale, incontrammo alcuni ragazzi in piazza, anche loro parecchio ‘scettici’ sulle nuove regole, che cominciarono a inveire contro di me. Michele disse loro di lasciarmi in pace perché dovevo lavorare per i bambini del quartiere. La signora in questione invece, come raccontarono le cronache dell’epoca – precisa poi – la incontrai per strada, molto tempo dopo la chiusura al traffico, e ci litigai perché non si rassegnava all’installazione delle fioriere che impedivano il transito delle auto”.
In ogni caso, però, il centrodestra attacca e insiste nel portare il caso in commissione Antimafia, ascoltando sia Emiliano che Decaro. “Se si fosse così comportato un presidente di Regione di centrodestra le sinistre avrebbero gridato allo scandalo, alle dimissioni, chiedendo di perquisirgli anche casa e ufficio. Conte e Schlein hanno sentito e non hanno nulla da aggiungere?”, tuona da FdI Tommaso Foti. Anche l’azzurro Mauro D’Attis, vicepresidente dell’Antimafia, chiede di approfondire la vicenda e audire anche Antonio Di Matteo, l’ex presidente dell’Amtab, la municipalizzata di Bari: “Fa delle dichiarazioni pesanti come macigni. Dai concorsi truccati, alle denunce e, soprattutto, all’omertà: parole che disegnano un quadro gravissimo, patologico, che merita un attento approfondimento in tutte le sedi”, assicura.
“Il Viminale proceda quanto prima con lo scioglimento del comune di Bari. Dopo l’autodenuncia di Emiliano è impossibile e intollerabile continuare ad avere in carica un presidente di Regione e un sindaco del capoluogo che si affidano alla sorella di un boss per portare avanti l’attività sul territorio”, dice chiaro invece il vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Anche Roberto Calderoli interviene sulla vicenda: “Per anni abbiamo vissuto la vicenda della trattativa Stato-mafia e i relativi lunghissimi processi e oggi mi domando: cosa cambia in questo caso? Direi nulla, sono cambiati scenari e protagonisti, ma al posto dello Stato ci sono comunque soggetti costitutivi della Repubblica come il Comune e la città metropolitana di Bari, al posto della mafia siciliana c’è quella pugliese”, attacca. Non solo. “Con la mafia non si tratta mai”, aggiunge, salvo però ammettere di nutrire qualche dubbio sulla norma che disciplina lo scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa. Va cambiata? “Assolutamente sì – risponde il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie – L’ho detto a Piantedosi: stralciamola quella parte. Forse la discrezionalità che si lascia a questa parte, chiamiamola amministrativa, è un po’ eccessiva. Ci vorrebbero delle regole più chiare sul ‘quando’, il ‘come’, e il ‘se’, deve essere disposto lo scioglimento”. Il comune di Bari va sciolto? “Non ho la sfera cristallo – si limita a rispondere – non è il mio ruolo, e non ne ho le competenze”.
La replica del Pd è affidata a Walter Verini: “Questa destra usa per fini elettoralistici la commissione Antimafia. E’ una cosa gravissima – attacca – Il vicepresidente D’Attis è in palese conflitto di interessi, fa campagna elettorale a Bari, va insieme a Sisto da Piantedosi a chiedere la commissione d’accesso che poi è arrivata e usa il suo ruolo in Antimafia per l’utilità del suo partito. Questo non è accettabile perché rischia di snaturare il ruolo della commissione”.