Il reato al centro dell'inchiesta è quello di riciclaggio. Tutto nasce dalla compravendita di un appartamento monegasco, lasciato in eredità al disciolto partito di Alleanza Nazionale
Riciclaggio. È il reato al centro dell’inchiesta che risale al 2008 e che ha portato oggi alla condanna a due anni e otto mesi per Gianfranco Fini. Tutto nasce dalla compravendita di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità al disciolto partito di Alleanza Nazionale, di cui Fini era allora leader, dalla contessa Annamaria Colleoni. La residenza monegasca venne venduta, secondo l’accusa, a Gianfranco Tulliani per circa 300mila euro attraverso una società off-shore legata a Francesco Corallo, noto come ‘re delle slot machine’. La rivendita della casa nel 2015 fruttò 1,36 milioni. La casa si trova in Boulevard Princesse Charlotte 14: per l’accusa Tulliani la comprò a un prezzo molto più basso del valore reale per poi rivenderla a oltre un milione di dollari. L’operazione venne gestita da una società offshore di proprietà di Corallo tramite diversi passaggi.
Fini si è sempre detto all’oscuro di tutto
Fini si è sempre dichiarato all’oscuro di tutto e di aver scoperto solo nel 2010 che Tulliani ne era diventato proprietario.Nelle prime fasi delle indagini nella vicenda erano coinvolti anche il parlamentare Amedeo Laboccetta e per l’appunto Francesco Corallo, imprenditore del gioco d’azzardo. Per i due le accusa di associazione per delinquere sono già state dichiarate prescritte. La Procura di Roma nella requisitoria, aveva sollecitato una condanna a otto anni di reclusione per l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, e nove anni anni per Elisabetta Tulliani. Dieci anni di reclusione, sono stati chiesti invece per Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini e cinque per il padre Sergio. Giancarlo Tulliani, è latitante e Dubai.
Il pool di avvocati, composto da Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno, che difende l’ex presidente della Camera dei Deputati, aveva depositato al collegio della quarta sezione penale una memoria difensiva. “Evidente quanto la dichiarazione resa da parte di Elisabetta Tulliani sia incontrovertibilmente atta a riscontrare quanto emerso nel procedimento relativamente alla estraneità di Fini” – e Tulliani – “attraverso le proprie spontanee dichiarazioni si è prodotta in affermazioni auto ed etero-accusatorie”, sostenne il legale nella requisitoria del 18 aprile. “Dichiarazioni in cui, altresì ha inteso chiarire espressamente l’inconsapevolezza, da parte di Fini, relativamente ai rapporti intercorrenti e alle azioni poste in essere dalla stessa congiuntamente al fratello Giancarlo Tulliani”. Il 18 marzo in aula Elisabetta Tulliani aveva difeso in lacrime Fini. “Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità”, le sue parole.
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