È ancora stallo sulle nomine Rai. Alla vigilia del vertice di maggioranza convocato per venerdì a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini e a due settimane di distanza dal voto alla Camera e al Senato del 12 settembre dei quattro componenti del Cda, la strada appare in salita.
L’impasse resta, perché le schermaglie all’interno del centrodestra e fra maggioranza e opposizione vanno avanti. Se non c’è un accordo con le opposizioni – sottolineano dalla Lega – non c’è il presidente, per cui “siamo al momento zero”. L’immagine usata dalle parti di via Bellerio è quella del gioco dell’oca, per cui il rischio di ripartire sempre dall’inizio, anche se il tempo stringe, è dietro l’angolo. Dal Carroccio si rimarca, quindi, la necessità di trovare una convergenza con le opposizioni su una figura che possa poi ottenere la maggioranza di due terzi dei voti in commissione di Vigilanza Rai. E proprio da Palazzo San Macuto filtra che la linea delle opposizioni non è immutata rispetto all’inizio della pausa estiva, quando Pd, M5S, Avs, Iv e Azione hanno presentato un documento in cui hanno avvertito la necessità di una riforma della governance nel solco del Media Freedom Act europeo prima delle nomine dei vertici di Viale Mazzini. Se dal vertice di venerdì dovesse emergere che la linea della maggioranza è quella di imporre un suo nome per la presidenza, i componenti dell’opposizione in Vigilanza sarebbero pronti a non partecipare al voto, che sarà a scrutinio segreto. Ma se dovesse, invece, emergere la volontà di convergere su una figura condivisa e di “altissimo profilo”, la posizione appunto delle opposizioni cambierebbe.
Sembra di fare i conti, insomma, con un cubo di Rubik. Perché, d’altronde, da Forza Italia fanno notare che quello dei veti o dei ricatti è “un giochino pericoloso” che potrebbe estendersi a qualsiasi organismo, per cui l’auspicio degli azzurri è che si trovino le giuste intese. Se la minoranza si pone sul piano del boicottaggio e tenta atti di prepotenza – è il ragionamento fra gli azzurri – questo può determinare una serie di reazioni, per cui ecco partire un invito alla saggezza rivolto alle segreterie dei partiti di opposizione. C’è chi con una battuta sintetizza così la questione: “Gli aspiranti rivoluzionari si facciano una domanda e si diano una risposta“.
Tornando alla maggioranza, dal Carroccio fanno notare che nel caso in cui, in fin dei conti, la presidenza dovesse premiare Forza Italia (Simona Agnes resta in pole) e l’amministratore delegato dovesse diventare Giampaolo Rossi (“Se lo sceglie Meloni, è il migliore che ci sia“), il fatto di ottenere la figura del direttore generale sarebbe da considerare “un’azione di buon senso“. E, nel caso in cui dovesse sfumare la casella del dg, da via Bellerio potrebbe partire la richiesta di un “corposo riequilibrio” delle direzioni. Sui nomi le bocche restano cucite. In ogni caso – è la linea leghista – “noi guardiamo più alle competenze che al genere”, anche se quest’ultimo rappresenta “sicuramente un tema”. Mentre da Fratelli d’Italia provano a mettere un punto fermo almeno su un tassello, segnalando che non c’è pericolo che salti la nomina ad amministratore delegato di Giampaolo Rossi.
Intanto, l’Esecutivo Usigrai non le manda a dire. “Il controllo della politica sulla Rai raggiunge nuovi traguardi. Mentre la maggioranza di governo litiga ancora sui posti da occupare – si legge in una nota – l’Azienda è paralizzata da un Cda scaduto da più due mesi e un presidente ad interim che è anche amministratore delegato. Ma intanto nella maggioranza non manca chi ragiona su come tagliare altre risorse alla Rai dopo la riduzione del canone dello scorso anno; misura in scadenza e sul cui rinnovo pesa anche la discussione sulla prossima legge di Bilancio”.