La premier Meloni: "Conti in ordine e seguiamo programma". Critiche dalle opposizioni. Schlein: "Legge incoerente"
Il governo incassa prima la fiducia, con 112 sì, 67 no e un astenuto, poi il via libera al provvedimento: con la volata finale al Senato la terza manovra del governo Meloni diventa legge.
La premier ne rivendica il “grande equilibrio”, il sostegno ai redditi medio-bassi e l’aiuto alle famiglie con figli: “Teniamo i conti in ordine, non rinunciando ad attuare il programma elettorale che abbiamo presentato agli italiani”. Mentre dall’opposizione arrivano critiche, sia sul contenuto del provvedimento che sul percorso a ostacoli che ha portato all’approvazione a ridosso del Capodanno e dell’esercizio provvisorio. La segretaria del Pd Elly Schlein contesta alla premier “tutta la sua incoerenza”: “Non solo – dice – è una manovra approvata a colpi di fiducia che non lascia il minimo spazio alla discussione del Parlamento e umilia la sua stessa maggioranza”, ma “aumenta le pensioni minime di meno di 2 euro al mese” e “concede rimborsi ai ministri di oltre 3 mila euro mensili”. “In un’Italia con il record di poveri assoluti – attacca il leader del M5s Giuseppe Conte -, hanno bocciato tutte le nostre proposte contro il carovita“.
Si chiude così il percorso della prima manovra impostata sulle nuove regole europee, con il Piano strutturale che traccia la traiettoria dei conti pubblici nel medio termine: margini di spesa stretti per mantenere l’obiettivo di portare il rapporto deficit/Pil al 3,3% nel 2025 e al 2,8% nel 2026, e uscire dalla procedura per deficit eccessivo. Le risorse sono state concentrate su poche voci di spesa: su tutte, circa 17 miliardi per rendere strutturali il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a 3 aliquote.
Le modifiche nel passaggio alla Camera, circa 300 grandi e piccoli, hanno introdotto l’Ires premiale con lo sconto sull’imposta per le imprese che investono, trovato altre risorse per il Ponte sullo Stretto e la Tav, impantanato il dibattito sullo stipendio dei ministri. Nessun margine per nuovi interventi in Senato, quindi venerdì la presa d’atto in commissione che non c’erano i tempi utili per l’esame e il rimando in Aula senza relatore, con la richiesta di fiducia.
Il dibattito, trasmesso in diretta tv, ieri si è infiammato con un botta e risposta tra Matteo Renzi e il presidente del Senato Ignazio La Russa. “Non c’è niente in questa legge di bilancio e potrei finire il mio intervento, ma mi resta del tempo per parlare della ‘norma Renzi’, una norma ad personam”, esordisce il leader di Italia Viva, che chiede il silenzio dai banchi della maggioranza, innescando la replica di La Russa: “La prego di non darmi lezioni”. “Lei deve abituarsi, camerata La Russa, a rispettare l’opposizione in quest’Aula!”, sbotta Renzi, che non perde l’occasione: “Pensavo di farle un complimento, si figuri. Il fatto che non avverta i rumori è tipico di una età incipiente che va avanti, non è un problema”.
Poi l’ex premier si sfoga con i giornalisti tra il Transatlantico e la buvette del Senato e sulla genesi della norma che vieta a parlamentari, senza autorizzazione, di percepire compensi da Stati esteri dice di non avere dubbi: “Sul cognome non ha dubbi, è ovvio che è Meloni. Non so quale delle due”, se Giorgia o Arianna. Poi, pur senza fare nomi, spiega che anche colleghi della maggioranza hanno avanzato critiche. E nel dibattitto in Aula, il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, si fa avanti: “Sulla norma ‘anti’ da lui stesso citata, il senatore Renzi non ha tutti i torti, per usare un eufemismo”.
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