Il ministro della Giustizia torna sull'argomento dopo le polemiche nate intorno al provvedimento: "Il registro degli indagati è un istituto fallito"
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio torna a gettare acqua sul fuoco delle polemiche nate intorno allo ‘scudo penale’ per gli agenti delle forze dell’ordine. Il Guardasigilli insiste: “È un termine improprio” e tenta di placare gli animi di chi ne ravvisa un tentativo di imbastire una riforma procedurale che vuole dare impunità a chi, tra le forze dell’ordine, commette un reato.
L’obiettivo dello scudo penale secondo Nordio
“È ovvio che la legge vale per tutti”, rimbrotta il ministro che chiarisce: “Il registro degli indagati è un istituto fallito: nato come garanzia si è trasformato in gogna mediatica e condanna anticipata. Questo vale anche per forze dell’ordine”. L’obiettivo di questa norma è “coniugare le garanzie della persona col fatto che non venga iscritto in nessun registro degli indagati”. Registro che “si è trasformato in gogna mediatica e in una condanna anticipata“, rileva ancora Nordio.
I fatti di cronaca emblematici
I recenti fatti di cronaca sono emblematici. Dalla morte di Ramy Elgaml, il 19enne morto dopo un lungo inseguimento con i carabinieri nella notte del 24 novembre a Milano (tre i militari indagati: uno accusato di omicidio stradale in concorso con l’amico di Ramy che guidava lo scooter, e due indagati per frode processuale e depistaggio e favoreggiamento, in quanto avrebbero intimato a un testimone di cancellare il video che aveva girato con il cellulare) al caso del maresciallo dei carabinieri Luciano Masini finito sotto inchiesta in provincia di Rimini per aver sparato e ucciso un egiziano che aveva ferito a coltellate quattro persone.
Nordio: “Stiamo studiando un provvedimento”
“Se un carabiniere spara – sottolinea il ministro Nordio – è automatica l’iscrizione nel registro degli indagati, che è un’informazione di garanzia perché ha il diritto di essere assistito da un avvocato in un’eventuale autopsia o perizia balistica. Ma essendo iscritto nel registro degli indagati reca con se questo marchio di infamia. Stiamo studiando un provvedimento che, senza essere uno scudo penale, che non esiste, possa coniugare le garanzie di una persona ad avere interesse ad essere assistito in una eventuale indagine col fatto che non sia iscritto in nessun registro degli indagati”. Quindi nessuna impunità e nessun privilegio per le forze dell’ordine.
Si tratta invece di “tutele” e “garanzie” per evitare che, come nel caso del carabiniere di Rimini, non ci sia “l’obbligo del pm dell’iscrizione nel registro degli indagati che è un’onta per chi fa il proprio dovere come ha fatto quel carabiniere”, spiega il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.
Quanto alle tempistiche e alle modalità del provvedimento, Delmastro spiega che “i tempi dipenderanno anche e soprattutto dalle dinamiche parlamentari. Vediamo che cosa accade e decideremo che strada prendere. Se un disegno di legge del governo o comunque scritto al ministero ma presentato poi in Parlamento”. “Non sappiamo ancora nulla, la norma è allo studio in fase preliminare e non posso dire oggi i tempi di questo provvedimento”, conclude.
FdI respinge le accuse
Fratelli d’Italia respinge al mittente le accuse di voler in qualche modo “garantire che qualsiasi condotta rimanga impunita”, come spiega il capogruppo del partito alla Camera, Galeazzo Bignami, che rivendica la paternità dell’idea. “Visto che la proposta l’ho avanzata io per primo – spiega – credo di avere anche il diritto di poter dire che noi non abbiamo mai parlato di ‘scudo’, perché la responsabilità penale è personale e non possono esistere condotte che non vengono sottoposte al vaglio del giudice, tanto più se connotate da dolo o colpa grave”. Quello che FdI vuole affermare è che “laddove ci sia un’evidenza della legittimità e non antigiuridicità della condotta da parte dell’agente non ci sia l’iscrizione sul registro degli indagati” come atto dovuto.
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