L'allarme del Gimbe: entro il 2026 previsti oltre 11.400 pensionamenti. Il sindacato: "Servono provvedimenti urgenti"
Allarme medici di famiglia, ne mancano oltre 3.100. La stima è della Fondazione Gimbe, che sottolinea come entro il 2026 siano previsti oltre 11.400 pensionamenti e “nelle regioni del Sud le nuove leve non basteranno a rimpiazzarli”. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, spiega: “L’allarme sulla carenza dei medici di medicina generaleoggi riguarda tutte le Regioni ed è frutto di un’inadeguata programmazione che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Così oggi spesso diventa un’impresa poter scegliere un Mmg vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, in particolare di anziani e fragili”.La Fondazione Gimbe ha analizzato le dinamiche e le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei Mmg nel Ssn e stimato l’entità della carenza attuale e futura di Mmg nelle regioni italiane.
“Le nostre analisi – spiega Cartabellotta – sono tuttavia condizionate da alcuni rilevanti ostacoli. Innanzitutto, i 21 differenti Accordi Integrativi Regionali introducono una grande variabilità nella distribuzione degli assistiti in carico ai Mmg e ciò può sovra- o sotto-stimare il reale fabbisogno in relazione alla situazione locale; in secondo luogo, su carenze e fabbisogni è possibile effettuare solo una stima media regionale, perché la reale necessità di Mmg viene determinata da ciascuna Asl sugli ambiti territoriali di competenza. Infine, i dati ufficiali sugli assistiti in carico ai medici che stanno frequentando il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale non sono pubblicamente disponibili”.
Fimmg: “Servono provvedimenti urgenti”
Per fronteggiare la carenza dei medici di famiglia “servono provvedimenti urgenti e di emergenza”. Lo dice a LaPresse il segretario generale della Fimmg, la Federazione italiana dei medici di medicina generale, Silvestro Scotti. “Le analisi ormai le conosciamo bene, Gimbe le messe bene in luce, il problema sono le soluzioni. Già prima del Covid avevamo avvisato che tra il 2020 e il 2026 sarebbero stati anni di grande fuoriuscita. Bisognava aspettarselo, noi da 15 anni denunciamo che serviva una maggiore programmazione“, afferma Scotti. “Il problema – secondo il sindacalista – non è avere in futuro una ‘pletora di laureati’, ma orientare seriamente i giovani colleghi verso scelte che servono ai fabbisogni necessari per il mantenimento del Servizio sanitario nazionale. Altrimenti – è l’allarme – io non immagino più un sistema sanitario pubblico universale equo e solidale, a meno che non si voglia arrivare a delle gestioni di tipo privatistico anche delle cure primarie e dei pronto soccorso, che però creeranno ulteriori disuguaglianze tra i cittadini“.
Il segretario della Fimmg sottolinea che in Italia secondo i dati Ocse “c’è un eccesso di formazione specialistica, mentre c’è una forte carenza, rispetto alla media degli altri Paesi, di medici che si impegnano sul territorio. Quindi il problema non è il numero di laureati in medicina, ma in che modo vengono motivati rispetto alle scelte per il loro futuro professionale. E al momento – osserva – non mi sembra che l’università li orienti particolarmente verso scelte che oggi serve che diventino attrattive“. Il governo, intanto, “ha preso tempo” con la possibilità per i medici di restare in servizio fino a 72 anni ma questo “non è risolutivo. Serve un intervento sulla formazione universitaria”, sottolinea ancora Scotti. “In una situazione emergenziale come quella di oggi, l’ultimo anno di medicina – è la proposta del vertice Fimmg lanciata attraverso LaPresse – dovrebbe essere già di avviamento alla formazione post laurea successiva e di selezione dei medici, in modo di conoscere la quota che andrà verso la specializzazione e quella che andrà verso il territorio. Dobbiamo usare quell’anno per abbreviare i tempi e fare in modo che dall’università si esca abilitati, per poter rapidamente entrare nel mondo del lavoro”.
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