L’autolesionismo, noto anche come “auto-danneggiamento intenzionale”, è un comportamento patologico in cui un individuo si infligge tagli, bruciature, morsi o altre ferite, senza avere l’intenzione di suicidarsi. Questo fenomeno costituisce una categoria diagnostica a sé stante e può essere associato a disturbi come la depressione, la sindrome borderline, di personalità, l’ansia o l’abuso di sostanze. Recentemente, il tema è tornato sotto i riflettori in seguito al caso di Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, che ha fatto riferimento al problema per giustificare alcuni graffi sulla testa dopo una partita, scusandosi successivamente per le sue dichiarazioni.
“In Italia si sta registrando un aumento di questo fenomeno, che si manifesta soprattutto a causa di disturbi di personalità. Le vittime più frequenti sono i giovani, che ricorrono all’autolesionismo per gestire il loro vortice emotivo. Un aspetto aggravante è l’influenza dei social media, che offrono anche tutorial su come praticare questi comportamenti”, ha dichiarato Pietro Bussotti, consulente del Cnop (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi), a LaPresse. “In ambito psicologico”, ha aggiunto Bussotti, “tutti i nostri comportamenti e le nostre emozioni sono un continuum. Quando diventano patologici, è solitamente a causa della loro frequenza”. Bussotti distingue tra un episodio isolato e un comportamento regolare: “Se diventa patologico, l’autolesionismo può rappresentare una manifestazione di forte stress o di un’emotività fuori controllo. In questi casi, l’emozione è così travolgente che il dolore fisico diventa un mezzo per cercare di riprendere il controllo”.
Il trattamento dell’autolesionismo può avvalersi di terapie psicologiche, come la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta a gestire le emozioni in modo più sano, favorendo una migliore regolazione emotiva e resilienza.