Los Angeles (California, Usa) 26 dic. (LaPresse) – Tempi duri per Kim Kardashian, la 31enne star dei reality show americani, famosa ormai per la brevissima durata del suo matrimonio, solo 72 giorni, con il giocatore di basket Kris Humphries, si trova a fronteggiare altri contrasti nel suo bel mondo. A dare un altro colpo alla sua popolarità, in rapido declino, è stata la Peta, l’associazione per il trattamento etico degli animali, che ha lanciato una campagna cartellonistica milionaria contro la Kardashian con l’obiettivo di stroncare l’amore della star per le pellicce. La Kim di ‘A spasso con i Kardashian’, infatti, indossa regolarmente giacche e stole di pelliccia ed è già stata additata dal gruppo per i diritti degli animali come la Peggior donna vestita del 2010.
Peta non si ferma: “Lei (Kim Kardashian ndr.) sa che vengono scuoiati vivi”. Nella sua campagna contro la star, Peta pubblica un’immagine di due cuccioli di volpe con l’affermazione: “Kim, a questi due cuccioli manca la loro madre. E’ lei che ce l’ha sulle spalle?”. Inoltre, diverse le inserzioni sul sito contro le scelte della Kardashian. “Kim sa che gli animali negli allevamenti sono picchiati, folgorati e spesso scuoiati vivi – ha detto il vice presidente senior della Peta Lisa Lange – Le abbiamo spiegato e ha guardato un video in cui si esponevano i metodi usati nelle fabbriche di pellicce”.
E ancora: “Quando Kim sarà pronta a porre fine alla sua relazione con la pelliccia, Peta sarà contenta di prendere i suoi scarti e donarli ai senzatetto”. La rabbia della Peta è ancora più sollecitata, dal fatto che, ironia della sorte, Kim si mostrò a sostenere un manifesto della campagna Peta contro la pelliccia in cui appariva la sorella Khloe. E’ il Daily mail ha ricordarlo, pubblicando la foto scattata insieme alla sorella.
Gli attacchi non finiscono, l’Istituito per il lavoro globale e i diritti umani ha criticato la famiglia per lo sfruttamento della manodopera cinese nella produzione delle loro linee di moda. Il direttore esecutivo del gruppo, Charles Kernaghan, aveva poi replicato, dicendo che le accuse non erano fondate e che le sue parole erano state confuse mentre al contrario si riferiva alle condizioni generali di lavoro in cui versa l’intero paese e non alla specifica situazione delle sue fabbriche.
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