di Laura Carcano

Roma, 17 ott. (LaPresse) – Maria Grazia Cucinotta vola dagli Stati Uniti all’Italia, ma pensa alla Cina. L’attrice, alla chiusura del Festival internazionale del film di Roma, in programma fino al 25 ottobre, presenterà la versione restaurata de ‘Il postino’, ultima indimenticabile interpretazione di Massimo Troisi, che morì subito dopo la fine delle riprese nel 1994. Ma prima di questo impegno, che ricorda un momento fondamentale della sua carriera, Maria Grazia Cucinotta parteciperà all’evento ‘China Day’ dell’Anica, domani 18 ottobre e il 19 ottobre a Roma, fra gli eventi del festival, nelle vesti di coproduttrice e interprete del film italo-cinese. ‘C’è sempre un perché’, che uscirà nelle sale italiane e cinesi, fra qualche mese, fra fine febbraio e inizio marzo del prossimo anno.

Intervistata da LaPresse, l’attrice 46enne ha fornito qualche anticipazione dei suoi prossimi tre progetti cinematografici, che ‘parlano’ sempre italo-cinese, gettando un ponte fra l’Italia e la tigre asiatica. ‘C’è sempre un perché’ è frutto di un accordo tra Seven Dreams International, società di produzione della Grazia Cucinotta, Ciwen Film Distribution e Stars Pictures, casa di produzione di Valeria Marini che interpreta anche un cameo nel film. Per l’uscita del film italo cinese, ultimato nel 2014, manca solo l’ultimo passaggio, quello del visto da parte delle autorità di Pechino. ‘C’è sempre un perché’ narra le vicende sentimentali di una cuoca mediterranea (Cucinotta) e di un maldestro operaio cinese che piomba nella sua vita. I consigli di una sessuologa (Valeria Marini) cercheranno di far superare le ansie da prestazione e le fobie sul sesso dei protagonisti. Del cast, oltre alla coproduttrice Cucinotta, fanno parte Huang Hai Bo, Wang Li Kun, Sergio Assisi, Ninni Bruschetta, Li Zan, Dario Veca.


Perché l’idea di realizzare un film con i cinesi?

“Adoro la Cina, sono innamorata di quel Paese e delle sue tradizioni, da quando avevo 18 anni. Ormai sono ‘cinesizzata’, vado in giro con il Qipao, il vestito femminile tradizionale cinese. E in Cina mi sento a casa, come in Sicilia. Andai lì per un concorso di bellezza, andai in Cina a rappresentare l’Italia, a Hong Kong, e Taipei, a fare sfilate e a partecipare ad eventi promozionali. Fu amore a prima vista per me, ma da allora non ci sono più tornata. Poi 8 anni fa, 28 anni dopo, ho partecipato a un viaggio istituzionale del governo italiano in Cina. Conobbi la direzione del Festival di Shanghai, che mi chiese di entrare in giuria, come poi ho fatto, con giurati del calibro del regista di Addio mia concubina Cheng Kaige e Luc Jacquet che ha diretto la Marcia dei pinguini. E così ho potuto constatare tornando quest’anno nella giuria come il cinema cinese si sia evoluto in questi anni: si sono americanizzati senza rinunciare alla loro identità culturale. In Cina aprono dalle 2mila alle 3mila sale cinematografiche all’anno, un mercato che cresce del 30% l’anno. Ma io ho scelto di fare il film perché volevo che un pezzo di Italia arrivasse in Cina e fare vedere che anche noi lì ci siamo La Cina poi è il Paese del merito e questo lo apprezzo molto. Lì c’è un sogno di realizzazione, legato al merito, che ricorda il sogno americano. In Cina il merito premia, mentre da noi, purtroppo molto spesso non è così”.

Che difficoltà avete incontrato nel coprodurre un film con i cinesi?

“C’era il problema della censura cinese sulla sceneggiatura, che è stata scritta da mia sorella Giovanna. Poi abbiamo iniziato a lavorare con Valentina Cheng, cinese che vive in Italia, ora mia socia con Roberto Stiffi. La sua conoscenza della mentalità di quel Paese è stata determinante nel trovare i giusti compromessi fra il gusto italiano e quello cinese. Il nostro prodotto è un esperimento: è una commedia romantica che cerca di accontentare questi due gusti. Naturalmente abbiamo dovuto fare attenzione a non urtare la sensibilità del popolo cinese, evitando ad esempio che nel film apparisse uno di loro maltrattato o in atteggiamenti negativi. E’ stato necessario curare in modo particolare linguaggio e montaggio: non vogliono scene esplicite di baci, che possano offendere il loro senso del pudore”.

Da pochi mesi sono state approvate le norme attuative di un Trattato fra governo italiano e cinese per la coproduzione nell’audiovisivo, come queste regole possono cambiare le prospettive in questo settore?

“I ritardi nel caso del film ‘C’è sempre un perché’ sono stati dovuti alla censura di Pechino e poi volevo che si creassero le condizioni giuste anche per la distribuzione in Italia, non sempre facile. L’accordo fra Italia e Cina, e le norme attuative che ne sono seguite pochi mesi fa, sono importanti anche per il nostro film, che ha aperto la strada. Noi siamo partiti prima che queste norme venissero approvate, ma ora grazie ad esse ci muoviamo comunque in un quadro in cui abbiamo un riconoscimento. Con il nostro film, il primo ad essere coprodotto con i cinesi in assoluto, siamo stati un po’ dei pionieri. Verso il nostro Paese c’è un’apertura dei cinesi attirati da moda, arte, cultura: sono innamorati dell’Italia, ma non lo considerano un Paese interessante per fare affari, come la Francia e la Germania dove hanno investito. Loro badano al business. Ma i problemi e le lungaggini della burocrazia che ci sono da noi li fanno scappare. E per potere lavorare con loro ci vuole un partner cinese, per avere la certezza di realizzare il progetto. Il premier Renzi è giovane ed è più rapido a capire la tendenza: è stato già in Cina e sta colmando le lacune nei rapporti fra i due Paesi”.

Cosa è stato necessario fare per convincere in Cina qualcuno a coprodurre un film con una società italiana?

“Non l’ho chiesto io, mi è stato richiesto da loro. E’ stata la direzione del Festival del cinema di Shanghai a coinvolgermi”.

E in Italia?

“La pellicola è coprodotta al 50% dall’Italia e al 50% dalla Cina. E Valeria Marini ha partecipato al 20% della parte italiana, io al restante 30%. Il budget totale è stato di 5,7 milioni di euro fra Italia e Cina”.

Maria Grazia Cucinotta e Valeria Marini, produttrici con la Cina, ma anche attrici. Come sono viste dai cinesi queste due bellezze italiane simbolo della donna mediterranea?

“Valeria Marini quando andava in giro lasciava la scia e i cinesi si può dire che se la mangiassero con gli occhi. In Cina vedono la donna italiana come inarrivabile. Non solo gli uomini, anche le donne: per le cinesi siamo un modello di femminilità. Mentre io invece vorrei essere come loro”.

Come è stata la lavorazione del film, fra Italia e Cina?

“Abbiamo girato per un mese a Chengdou, in Cina, e per un mese a Favignana. In Cina c’è un forte star system, che da noi non esiste. Ogni attore ha quattro assistenti. Ma hanno anche una grande scuola di recitazione che li forma sin da bambini, con disciplina, perché sono militarizzati in tutto. Io mentre facevo questo film nelle parti di una cuoca, in cucina, stavo da Dio, anche se non era facile con metà troupe italiana e metà cinese. Inizialmente è stato uno choc. Avevamo 18 interpreti, poi è nato un body language italo-cinese. E alla fine i cinesi parlavano un po’ italiano e viceversa”.

Che progetti ci sono per il futuro con la Cina?

“Lavoro con Roberto Stiffi, con cui abbiamo creato un service di produzione cinematografica per i cinesi che arrivano in Italia e anche per gli europei che vanno a girare in Cina. Ho tre progetti di coproduzione italo-cinese in corso. Uno, ‘Crazy credit card’, prodotto dal cinese Mister Zhu, riguarda storia che gira intorno al fenomeno di una carta di credito cinese per cui tutti impazziscono. Poi c’è una produzione, ‘Il diario della sposa’, con l’attrice Bai Baihe. L’altra iniziativa, un cortometraggio, è legata a un fatto di cronaca nera, la strage nella metropolitana di Kunming in Cina, con oltre 30 persone morte accoltellate. Si chiama ‘Twenty one twenty one’: Zhoe Difei è regista e produttore”.


La Cina è un Paese sotto osservazione sul fronte del rispetto dei diritti umani. Come evolverà questa situazione?

Noi giudichiamo la Cina, ritenendoci un Paese libero, ma in realtà da noi spesso non ci si può difendere dal male. E la giustizia non funziona. Pensiamo ad esempio ai diritti delle donne non sempre rispettati nel nostro Paese e alla violenza contro le donne come fenomeno sociale in Italia. Ai costi sociali che si pagano nella società italiana per diventare madri. In Cina i cambiamenti sono veloci. Le ragazze sono sempre più simili alle coetanee occidentali, anche se conta ancora molo la famiglia: i genitori decidono ancora sul loro futuro. Il concetto di libertà si presta a interpretazioni diverse in contesti diversi”.

Maria Grazia Cucinotta si sente più produttrice o attrice?

“Non sono un’egocentrica, non devo stare per forza davanti alla telecamera. In Italia ormai la gente mi vuole bene per la Cucinotta che conosce e non mi devo preoccupare di fare un film in più o in meno. Per me, anche se amo molto recitare, l’importante e fare qualcosa che mi faccia lavorare serenamente, senza preoccuparmi troppo del mio aspetto, di stare a contare le rughe in faccia. Se non recito, non vado in crisi di identità. E poi ho il mio impegno nel sociale che è l’unica cosa per cui davvero vale la pena essere famosi”.

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