Milano, 6 nov. (LaPresse) – Il regista e attore Tim Robbins, è intervenuto oggi alla prima sessione della seconda giornata di ‘Unity in Diversity’, forum a Palazzo Vecchio che raccoglie 80 sindaci di 60 Paesi per discutere di integrazione e pace. Robbins, impeccabile in giacca e cravatta, ha raccontato l’esperienza ‘The prison project’ nata dopo le riprese del film ‘Dead man walking’ e l’incontro con Sorella Helen Prejean. “Proprio suor Helen – ha raccontato Tim Robbins – mi ripeteva che ogni uomo vale di più di qualsiasi errore commesso. Negli Stati Uniti c’è poca comprensione per i criminali ed il sistema carcerario è fallimentare. 7 prigionieri su 10 quando escono dal carcere tornano a commettere reati, spesso si drogano. Ho pensato allora di coinvolgere alcuni artisti nel ‘The prison project’ ed andiamo nelle carceri a fare teatro. Creiamo gruppi che lavorano per otto settimane con i detenuti. Lavoriamo, attualmente, in sei istituti penitenziari, anche con i minori”.

“Ci sono ragazzi timidi, alla prima esperienza con il teatro, che grazie al nostro progetto riescono ad aprirsi, a comunicare” ha raccontato ancora Robbins. “Negli istituti dove lavoriamo c’è stata una netta riduzione di forme di violenza. L’arte è una necessità per la società. Non è frivolezza. Invece quando c’è da risparmiare sui conti, la cultura è sempre quella che subisce i tagli maggiori. Non si pensa che è meglio spendere 100 dollari per fare teatro nelle carceri invece di spenderne migliaia per mantenere i detenuti in cella. Bisogna correggere chi sbaglia senza violenza. Come ha detto il premio Nobel Shirin Ebadi dobbiamo combattere con i libri e non con le bombe” ha concluso.

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