Il filosofo racconta in un'intervista a LaPresse la lunga amicizia con Eco

"Il mio primo incontro con Umberto Eco è stato nell'Azione Cattolica, purtroppo o per fortuna. Era un dirigente degli studenti della gioventù cattolica allora e io ero un militante di base e ci incontravamo alle manifestazioni. Poi c'è stata l'esperienza insieme in Rai negli anni'50. E allora per un periodo abbiamo anche condiviso una casa a Milano, c'era anche Furio Colombo. Io ero di 4 anni più giovane di Umberto, che è stata una delle persone cui ho voluto più bene". Fra i ricordi di tanti colleghi e amici di Umberto Eco, semiologo e scrittore di fama mondiale, scomparso ieri a 84 anni, c'è anche la testimonianza del filosofo del pensiero debole Gianni Vattimo, con alle spalle esperienze politiche nel Partito Radicale, poi in 'Alleanza per Torino', successivamente nei Democratici di sinistra, nelle cui fila è stato eletto parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti italiani. Un percorso intellettuale, quello di Eco e Vattimo, che li ha visti contrapposti per molti aspetti sul piano della prospettiva filosofica, ma sempre vicini umanamente. 

In una delle 'bustine di Minerva' dell'Espresso firmate dall'autore del best seller mondiale 'Il nome della Rosa', Eco una volta scrisse: "Non sono d'accordo con il mio amico Gianni Vattimo che ha firmato l'appello secondo cui 'gli accademici e intellettuali israeliani hanno svolto e svolgono un ruolo di sostegno dei loro governi'". Eco era contro un boicottaggio culturale che invece Vattimo sosteneva. Una lunga storia di amicizia e di vivace confronto di idee quella fra il semiologo, grande divulgatore culturale e autore di best seller, e il filosofo poi prestato alla politica, non senza qualche estremismo su certe battaglie.

Come fu il periodo in Rai che ha condiviso con Umberto Eco?

Quello fu una fase della Rai in cui sembrava che i cattolici  di sinistra la avessero quasi occupata, perché l'amministratore delegato era Filiberto Guala, una personalità notevole, un credente alla maniera di Fanfani, uno molto attivo, un ingegnere con un certo piglio organizzativo, che – devo dire – ci proteggeva dalle gerarchie tradizionali dell'azienda. Facemmo un settimanale per i giovani, 'Orizzonte', che andava in onda il pomeriggio del sabato e, può sembrare strano magari, ma non era poi tanto vigilato come programma in quell'orario. Così abbiamo avuto in realtà la possibilità di fare  cose come alcune campagne contro i tribunali militari. Io intervistai Danilo Dolci (educatore e attivista nonviolento soprannominato 'Gandhi della Sicilia', ndr), grande organizzatore sociale siciliano.  Mi inventai il titolo di una trasmissione di cui mi occupai, quando lavoravo ai programmi culturali, intitolata 'La macchina per vivere', dedicata al corpo umano, in cui non facevo nulla se non sorreggere una vecchia professoressa di fisiologia dell'università che spiegava appunto il corpo umano.

E di cosa si occupava Eco in Rai?

Eco lavorava già a Milano in Rai nei programmi di varietà. Si occupava di tante cose, ma a un certo punto fu anche incaricato, si può dire quasi inviato dalla direzione Rai cattolica di allora, della missione di vigilare che non fossero troppo coperte le ballerine: fra di noi la chiamavamo scherzando 'operazione mutandoni'. La vecchia gerarchia dell'azienda aveva infatti a cuore il controllo morale dei programmi e faceva indossare i mutandoni alle ballerine, ma a volte si esagerava in questa sorta di censura e così Eco aveva avuto quel compito particolare di evitare eccessi moralistici.

Su cosa divergevate nel vostro confronto da filosofo a filosofo?

Sono sempre stato suo amico, ma anche spesso in disaccordo con lui. Eco come filosofo ad esempio non ha mai preso sul serio il pensiero debole che è la mia invenzione. La sua formazione filosofica in realtà era stata sempre molto medievale. E' diventato un semiologo, con delle simpatie verso la filosofia analitica, ma non ha mai seguito Heidegger, è rimasto un filosofo classicheggiante, la sua vera formazione era stata quella di San Tommaso. Io dicevo sempre che, come San Tommaso pensava la cosmologia come la scienza fondamentale per dimostrare l'essenza di Dio, così lui pensava la semiologia: si è occupato del mondo dei segni come San Tommaso si è occupato di quello del cosmo.

Che tipo di intellettuale era?

Ho pensato, a un certo punto, che, il cognome che portava Umberto, Eco, appunto, fosse un segno del destino. Era uno molto attento ai segni dei tempi e a ciò che accadeva, era come Hegel definiva la filosofia, 'il proprio tempo appreso col pensiero', viveva con gli eventi e con le mode, ma li filtrava con interpretazioni filosoficamente pesanti. Era proprio un vero intellettuale, e non solo uno specialista.

C'è qualcosa di speciale che ha imparato da lui nella vita?

Umberto era molto divertente e ho imparato da lui a raccontare le barzellette: ancora adesso ne ho un repertorio importante grazie al fatto di averlo frequentato continuativamente in certi periodi della mia vita. Per questo potrei fare un concorso di barzellette persino con Berlusconi.

Di politica parlavate?

Lui aderiva all'associazione 'Libertà e Giustizia', io in politica lo trovavo troppo prudente e moderato. Una volta gli rimproverai di non scoprirsi tanto, ma lui mi ribatteva 'io devo parlare a tutti'. Avendo venduto coi suoi libri più copie di 'Guerra e pace', aveva in effetti la sua responsabilità.

Che carattere aveva?

Umberto era assistente volontario del filosofo Luigi Pareyson che era mio professore all'Università di Torino. Per fare capire come era  Eco, posso dire che lui ingiustamente non vinse il concorso per la cattedra a cui partecipò e che io invece ho vinto. Lui si occupava di semiologia e il nostro comune maestro questa disciplina non la vedeva tanto di buon occhio. Dico sempre che Eco non vinse quel concorso, in cui io invece mi collocai fra i vincitori, perché non mandava gli auguri di Natale a Pareyson. Umberto era troppo poco conformista. Noi, come ci consigliava di fare il nostro maestro, nelle dediche dei nuovi nostri libri che mandavamo ai professori scrivevamo 'devoto omaggio', lui non lo avrebbe mai fatto, piuttosto si sarebbe fatto tagliare le mani. Io penso che Eco avrebbe dovuto vincere il Premio Nobel: per me hanno perso una grande occasione a non darglielo.

Cosa ricorda del vostro ultimo incontro?

Ci siamo incontrati l'anno scorso per l'ultima volta, quando io sono stato tre giorni a casa sua in Umbria. Abbiamo chiacchierato a lungo e discusso sulle mie posizioni anti Israele. Mi ha stupito in quella occasione constatare che lui fosse preoccupato del pericolo islamico molto più di quanto a me sembrasse. Ricordo che camminava poco, siamo entrambi vecchiarelli, ma era lui che mi portava in giro in automobile, era Umberto che guidava, non io.

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