Alla Festa del cinema, il regista premio Oscar racconta il cinema noir e i film che hanno influenzato la sua carriera

"Bisogna sempre essere attenti a ciò che ci succede nella vita quotidiana perché sotto il naso può passarci una grande trovata cinematografica", sono le parole di Giuseppe Tornatore che alla tredicesima edizione della Festa del cinema di Roma ha trasformato il suo incontro con il pubblico in una lezione di vita e di cinema.

Se nel suo Incontro Ravvicinato, Martin Scorsese aveva accompagnato il pubblico in un viaggio alla riscoperta del neorealismo, Giuseppe Tornatore ha scelto di indagare un cinema completamente diverso e spesso sottovalutato: il noir.

È questo il genere che ha maggiormente influenzato il regista siciliano, che tra i traguardi della sua carriera vanta anche l'Oscar per Nuovo cinema paradiso. Per descriverlo al meglio, Tornatore ha scelto le sequenze di nove film che per lui simboleggiano i migliori esempi del genere.

Da Ho ucciso! (1935) a Detour (1945), da La donna del ritratto (1944) a Le catene della colpa (1947), il regista ha descritto uno a uno tutti i suoi titoli preferiti tra gli enigmatici polizieschi del cinema classico. "C'è una differenza tra il giallo – ha spiegato – e il noir. In quest'ultimo c'è un forte senso della sconfitta e della colpa: i personaggi sono trascinati a commettere azioni criminali anche contro il loro volere. Il senso di colpa li trasforma e complica ancora di più la tessitura della storia. Il giallo, per convenzione, mostra ciò che accade dopo un crimine, mentre nel noir l'atto viene sempre mostrato". "Per decenni – ha continuato Tornatore nell'incontro condotto dal direttore artistico Antonio Monda – il noir è stato considerato solo cinema da botteghino. Ci vorranno Truffaut e la Nouvelle Vaugue negli anni '60 perché il genere venga rivalutato e se ne comprenda il valore artistico".

Da quel momento vennero riscoperti una serie di film, come Detour: "un titolo – ha spiegato Tornatore – diventato grande nel corso del tempo e che si è arricchito di un'aura leggendaria che lo ha reso importante: la tradizione vuole che sia stato girato in 7 giorni". O ancora: Lo specchio scuro (1946), che Tornatore ha utilizzato per parlare di uno dei temi principali del noir, quello del doppio. "Qui Olivia de Havilland interpreta due gemelle: una delle due ha commesso un omicidio, ma l'ispettore non riesce a capire chi sia l'assassina. All'epoca era un effetto difficilissimo da realizzare perché spesso sono entrambe nell'inquadratura". Il regista cita anche La donna del ritratto (1944) in cui è presente "il primo piano sequenza della storia che dal piano reale passa al piano onirico". "Si tratta – ha spiegato Tornatore – di una straordinaria idea realizzata in un modo molto semplice".

Tra i film che hanno colpito profondamente il regista siciliano e ne hanno influenzato la carriera, spiccano due titoli. Il primo è La fiamma del peccato, girato da Billy Wilder nel 1944. "L'ho sempre amato moltissimo: è sicuramente uno dei noir più belli della storia del cinema. E su questo film – ha spiegato Tornatore – ci sono tanti aneddoti. Per esempio, mi venne confermato da Wilder quando ebbi la fortuna di incontrarlo, che l'idea degli eroi che non riescono a mettere in moto la macchina, proprio in un momento di tensione, venne al regista dopo che l'inconveniente accadde a lui personalmente alla fine di una giornata sul set. È la prima volta in assoluto che viene adoperato questo espediente: un'idea straordinaria, poi destinata a essere riutilizzata migliaia di volte e che funziona sempre".

L'altro titolo su cui Tornatore si è speso è di Alfred Hitchcock. Il regista siciliano non ha scelto uno dei film più noti, come Psycho o La finestra sul cortile, ma un bellissimo thriller spesso considerato 'minore': Il delitto perfetto. "Gli studiosi di cinema – ha detto Tornatore – non lo inseriscono nel noir. Io però non potevo non citare Hitchcock e questo è il primo film che mi viene in mente se penso a lui". "Vidi Il delitto perfetto per la prima volta – ha ricordato – quando avevo 14 o 15 anni e facevo il proiezionista. Per me fu una folgorazione, soprattutto per quel finale con l'ispettore che guarda il sospettato dalla finestra e racconta agli altri cosa sta facendo. Quell'ispettore è come un regista che racconta una scena a un attore: per questo ci sarò sempre legato".

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