Lo sceneggiato diretto e co-interpretato da Gabriele Lavia. In onda sabato alle 21h15 - INTERVISTA

 "Il teatro non è la cornice con palco e sipario, è il racconto dell'essere umano. In un momento come questo invece di chiedere dobbiamo essere solidali e stare tra la gente". Monica Guerritore torna su Rai5 sabato 13 giugno alle 21.15 con 'Scene da un matrimonio', diretto e co-interpretato da Gabriele Lavia. Lo sceneggiato, girato nel 1991 e tratto dall'omonima opera del regista Ingmar Bergman, racconta la sofferta separazione di una coppia.

DOMANDA. Qual è il valore, e l'attualità, di un'opera come 'Scene da un matrimonio'?

RISPOSTA. Vede cose che nascondiamo sotto il tappeto. Assolve alla funzione dei racconti, che è quella di rivelare qualcosa che il pubblico ha bisogno di vedere. Attraverso una finzione veniamo a conoscenza di fatti reali della nostra vita. Bergman è talmente grande che racconta tutte le tappe: l'arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, la rivelazione del tradimento, il ritorno a casa, il divorzio e il reincontro. È un'opera di una lucidità che la rende contemporanea anche dopo 20 anni.

D. Dal punto di vista personale che cosa ha rappresentato per lei?
R. Quando abbiamo lavorato a 'Scene da un matrimonio' io e Gabriele stavamo insieme da 16 anni, sembrava andare tutto per il meglio. Sembrava. Lavorando su questo testo, portandolo in teatro e facendo la ripresa televisiva, tanti aspetti hanno cominciato a essere somiglianti alla nostra situazione. E come era successo a Ingmar Bergman e Liv Ullman è capitato a noi, la crisi che era sotterranea e che tenevamo nascosta ha trovato parole, quelle che ci dicevamo in scena. La potenza dell'opera artistica: attraverso la finzione siamo riusciti a dirci la verità.

D. Quali sono le possibilità nel portare il teatro in televisione?
R. C'è un grande equivoco: il teatro non è il luogo, la cornice con palco e sipario, è il racconto dell'essere umano. È così da più di duemila anni. Bisogna aprire il recinto che separa la forma teatrale dalla forma fruibile per il pubblico. È come se il teatro fosse appannaggio di pochi eletti, invece il racconto-teatro è popolare, serve per la crescita sociale del Paese. Quando la cultura non si fa capire la colpa è di quelli che la fanno.

D. La cultura, come tutto il resto, è stata messa a dura prova dall'epidemia.

R. È proprio in questo momento, in cui il mondo si è rovesciato, che si può cominciare a costruire un nuovo modo di pensare. Aprendo i recinti che ci hanno tenuti separati, con sempre meno fondi, sempre più per pochi che avevano soldi, perchè 30 euro non sono pochi per andare a teatro. Gli attori devono essere a disposizione della società ora, bisogna stare in mezzo alla gente. Vorrei tenere aperti i teatri al mattino, che gli attori aiutassero i professori per le analisi dei testi.

D. Ha scritto una lettera aperta al premier Conte per chiedere, con la chiusura dei teatri per l'epidemia, di poter allestire gli spettacoli sospesi negli studi televisivi; cosa si aspetta dalle istituzioni?
R. Conte ha risposto con una lettera privata dicendo che darà impulso a questa iniziativa. In una fase così difficile, noi dobbiamo essere i primi a essere solidali. Non dobbiamo chiedere in questo momento. Sta a noi scendere tra la gente.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata