Oltre ai progetti cinematografici e televisivi, l'attore ama coltivare progetti con gli adolescenti
Beniamino Marcone, 39 anni, attore e doppiatore romano, è reduce dal set di ‘House of Gucci‘, il film di Ridley Scott sull’ascesa e caduta della dinastia fiorentina della moda. Barbara Fabbroni l’ha intervistato per LaPresse.it.
Beniamino, quando ha saputo di essere stato scelto per ‘House of Gucci‘ cosa ha pensato?
“Non ci credevo. Sono una persona cui l’ansia sale pian piano. Mi chiama Ridley Scott e mi rassicuro dicendomi: ‘Vabbè, è il mio lavoro… E si fa’. Poi, quando ti accorgi che sei davanti a un mostro sacro del cinema, non è semplicissimo. Non hai una preparazione a monte. Come sarebbe successo in un film dove hai un ruolo più centrale. È un po’ come tirare un calcio di rigore”.
Ovvero?
“House of Gucci non era un set, ma una città nella città. Il cast è tutto americano anche se con attori italiani in parti minori. È stata un’esperienza molto formativa. Intensa. Unica. Hai tantissime persone intorno. Ogni attore deve fare il suo, senza mezzi termini”.
C’è differenza con i set italiani?
“I set americani sono un’industria. Tutto è sincronizzato con tempi e spazi molto definiti. Un set americano muove una quantità di soldi. Ma è anche una macchina super organizzata. Un momento vale tantissimo. Ogni attore, anche se fa solo una partecipazione, è tenuto in massima considerazione. Ha tutto uno staff a sua disposizione”.
L’organizzazione americana
Cosa vuol dire?
“Gli americani hanno grande rispetto per chi fa il mio mestiere. Su questi set c’è tutto un protocollo da seguire. Hai la possibilità di incontrare il regista per definire bene il ruolo. Come arrivi nel set si gira, non ci sono perdite di tempo. Hai la possibilità di chiedere delle pause se vuoi ulteriormente relazionarti con il regista. È molto organizzato. Una volta che hai finito di girare, lo staff ti è riconoscente e apprezza il tuo lavoro. Ti dà il suo feedback”.
Il suo com’è stato?
“Super positivo! Ti senti orgoglioso di quello che hai fatto. Inizi a vedere il tuo lavoro sotto una luce diversa. Una visione un po’ più internazionale”.
Nel cinema italiano è diverso?
“C’è un rapporto più umano con le persone che gravitano sui set. Più alla pari”.
Che ruolo ha interpretato in ‘House of Gucci’?
“Uno dei commercialisti della famiglia Gucci”.
È difficile recitare in inglese?
“È un’esperienza diversa. Devi entrare all’interno non solo del personaggio. Ma anche di una lingua non tua. Pur parlando bene inglese mi sono dovuto calare all’interno del ruolo in maniera diversa. Non puoi appoggiarti sull’improvvisazione. Tutto dev’essere perfetto”.
Con chi ha recitato?
“Con Jared Leto. Devo dire, un po’ di ansia l’ho avuta. Questi set ti richiedono un livello di professionalità altissimo”.
Beniamino Marcone: “Il mio impegno sociale”

Cambiamo argomento. Si interessa ai giovani: come è nato quest’ulteriore lavoro?
“Dalla voglia di restituire qualcosa. Anche in virtù della mia esperienza di adolescente e giovane uomo. Il teatro mi ha dato tanto. Mi ha permesso di viaggiare, allargare i miei orizzonti, comprendere molte cose. E soprattutto di scegliere la strada che desideravo percorrere. In questo percorso ho avuto la possibilità di entrare in contatto con il mondo delle associazioni che si occupano del sociale. Così sono nati vari progetti. Tanto che ho creato anche una mia associazione dove facciamo attività teatrale e cinematografica”.
Che cosa propone?
“Attraverso dei progetti e il teatro mettiamo a disposizione dei percorsi per i giovani. Per quei ragazzi che hanno difficoltà a integrarsi. Sono ai margini, vivono in realtà difficili”.
Quali sono i punti di forza?
“L’ascolto. L’armonia del gruppo. La capacità di aprire i propri canali ricettivi. Comprendere il mondo che ci circonda. Che cosa accade. Come relazionarsi nelle varie situazioni vissute”.
E Beniamino Marcone cosa fa?
“Seguo la progettazione degli interventi. Al tempo stesso porto delle proposte incontrando anche i ragazzi nelle scuole. Spesso capita di fare percorsi di 10 settimane di lavoro insieme a ragazzi e docenti. Abbiamo creato progetti interessanti anche nel corso della pandemia”.
Qual è lo scopo del progetto?
“Formare uno sguardo critico. Che dia consapevolezza sulla vita, sul mondo e sugli altri. Cercare di far sentire tutti capaci di tirare fuori le risorse nascoste. Permettere lezioni più creative e coinvolgenti. Mettendo al centro gli studenti perché diventino parte attiva della società”.
Come si prende cura dei ragazzi?
“Lavoriamo in contesti dove c’è una povertà educativa importante. Noi offriamo un’opportunità a chi non ha accesso a percorsi più fortunati. Mi confronto con ragazzi stranieri e con famiglie economicamente disagiate. Il mio compito è stimolare curiosità e voglia di sperimentare. Partendo dalla mia esperienza cerco di stimolare fiducia e voglia di conoscere. Metto così i giovani al centro di un cambiamento. Ognuno poi è libero di decidere cosa scegliere”.
Un ragazzo che è rimasto nel cuore di Beniamino Marcone?
“Un ragazzo iracheno delle scuole medie, brillante. L’ambiente non era dei migliori. La classe era molto conflittuale e multietnica. Aveva una storia familiare particolare. Non aveva amici e in me aveva trovato una persona con cui confrontarsi. Si era iscritto alla scuola alberghiera, su consiglio dei genitori. Ma il suo sogno era fare il pilota di aerei. Abbiamo parlato tantissimo. I genitori hanno compreso il bisogno del figlio. Alla fine si è potuto iscrivere alla scuola piloti”.
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