Il film racconta il dramma del Mediterraneo visto da chi lo vive, un "controcampo" rispetto alla visione occidentale
Dall’Africa all’Europa passando per le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Matteo Garrone racconta il dramma vissuto dai migranti da una diversa prospettiva, la loro. Una “sorta di controcampo” rispetto alla visione occidentale, una “odissea omerica” per fare “luce su delle ingiustizie” nel tentativo di dar voce a chi non ce l’ha o non viene ascoltato. Dopo avere presentato i suoi precedenti quattro film a Cannes, il regista sceglie Venezia per ‘Io Capitano’, la sua prima opera in concorso al Lido in corsa per il Leone d’Oro.
Il viaggio di Seydou e Moussa
Scritto dallo stesso regista insieme a Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, il film co-prodotto da Rai Cinema sarà già dal 7 settembre in oltre 200 sale con 01 distribution. Per raccontare il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani (interpretati da Seydou Sarr e Moustapha Fall) che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, il regista si affida alle testimonianze vere di chi ha vissuto l’inferno di questa odissea che spesso si chiude senza un lieto fine. “È una sorta di controcampo rispetto a quello che siamo abituati a vedere. Da anni, decenni, vediamo barconi che arrivano nel mediterraneo: a volte li salvano e a volte no. Siamo abituati a una conta dei morti, a pensare a queste persone come dei numeri e si perde di vista che dietro c’è un mondo, una famiglia e tanti desideri. L’idea era quella di mettere la macchina da presa dal lato opposto, dall’Africa verso l’Europa, raccontare il viaggio e viverlo insieme a loro, dal loro punto di vista. Volevo dare forma visiva a quella parte di viaggio che di solito in occidente non ha una parte visiva, dal deserto ai campi di detenzione in Libia fino al viaggio sul barcone”, spiega il regista, accolto in conferenza da un lungo applauso.
Garrone: “Non è film politico”
Non è un film politico, precisa Garrone: “Io purtroppo di mestiere faccio il regista, racconto delle storie e posso parlare di quelle che ho raccontato perché le ho vissute attraverso gli sguardi di questi ragazzi. Non ho approfondito l’aspetto politico legato all’Unione Europea e a quello che potrebbero fare o non fare, quello che racconto è un viaggio che ha a che vedere con l’archetipo di chi parte da un paese più povero per andare in uno più ricco. Anche noi italiani siamo un popolo di migranti, parlo di loro ma anche di noi, penso che sia un film che si muove su un piano più universale, affronta un problema estremamente complesso. Ci sono tante forme di migrazione, c’è chi emigra per le guerre, chi per cambiamenti climatici o per disperazione. C’è poi un’altra forma legata ai giovani. Tra questi milioni di giovani c’è chi è disposto a rischiare la vita per cercare un futuro migliore, scappando non da una povertà assoluta, spesso dignitosa ma alla ricerca del coronamento di un sogno per arrivare in un paese europeo, realizzarsi e aiutare la famiglia“. “È un tema che mette in luce una profonda ingiustizia – rimarca Garrone -. Molti di questi ragazzi non sanno dare una risposta al fatto che molti loro coetanei possono andare in vacanza nel loro paese mentre loro devono fare viaggi di morte“.
Le assonanze con ‘Pinocchio’
La sceneggiatura, come detto, prende spunto da reali testimonianze: “Nel caso specifico a volte partono anche sapendo che rischiano di morire, a volte non credono a quello che gli viene detto”, evidenzia il regista, che anche per questo vede “tantissime assonanze” tra questo e il suo precedente film Pinocchio. “Collodi si muove dal racconto di un burattino puro e ingenuo che tradendo il padre va nel paese dei balocchi e si trova in un mondo estremamente violento. Anche qui partono sapendo i pericoli ma con ingenuità e purezza“. Lo dice anche Mamadou Kouassi, che ha collaborato alla sceneggiatura figurando anche nei credit del film. “Io l’ho fatto 15 anni fa attraversando il deserto dell’Africa subsahariana, sono passato per la Libia, ho visto persone vendute, imprigionate, torturate. Vivo a Caserta e so qual è la realtà che Matteo ha raccontato con Gomorra”, racconta Mamadou, che un messaggio ‘politico’ lo manda: “C’è un solo modo per contrastare le tratte di esseri umani, dare la possibilità di avere un visto per viaggiare liberamente in Europa e in Africa. E non bisogna dare soldi alla Libia o alla Tunisia”.
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