E' l'ultima opera italiana in concorso presentata alla kermesse

Svizzera, 1939. Il nomade Lubo, un artista di strada, viene chiamato nell’esercito svizzero a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada. Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui. E’ quanto racconta Giorgio Diritti in Lubo, film in concorso alla mostra del cinema di Venezia, ultima opera italiana presentata in questa edizione della kermesse. Il film è una co-produzione italo-svizzera -Indiana Production, Aranciafilm con Rai Cinema e Hugofilm Features e Proxima Milano in collaborazione con RSI Radiotelevisione Svizzera SRG/SSR e sostenuta in fase di produzione da IDM Film Commission Südtirol- nelle sale dal 9 novembre con 01 Distribution.

E’ leggendo il romanzo Il seminatore di Mario Cavatore -scomparso nel 2018- che Diritti ha scoperto vicende poco note accadute per cinquant’anni in Svizzera. “Nell’immaginario comune un paese di democrazia, civiltà e cultura”, sottolinea il 63enne regista bolognese, già vincitore del David di Donatello nel 2010 con ‘L’uomo che verrà’ sulla strage nazista di Marzabotto e nel 2021 con ‘Volevo nascondermi’ che vede Elio Germano (Orso d’argento a Berlino) nel ruolo del pittore Antonio Ligabue. Qui è il tedesco Franz Rogowski a indossare i panni dell’artista di strada “travolto da qualcosa di più grande, negativo e drammatico che gli cambierà la vita”. “Questo film è lo specchio dei nostri giorni. Siamo molto vicini a una guerra che dura da mesi, si è recentemente parlato di bambini ucraini rapiti dai russi e questo ci racconta che uno dei limiti dell’umanità è che gli errori tornano. Ho sentito la necessità di far conoscere questa storia anche per dare un segnale che io definisco politico ma non nel senso istituzionale, bensì per sensibilizzare le persone perché abbiano un atteggiamento vigile verso chi fa qualcosa contro la vita, come sradicare le persone dalle proprie famiglie, le persecuzioni, l’incapacità dell’uomo di capire le diversità che invece a mio avviso hanno un grande valore”, spiega Diritti.

Il film è anche “un grande viaggio nel tempo e in luoghi magici” di non facile realizzazione. Le riprese sul territorio sono durate tre settimane e si sono concluse a Valles, nella suggestiva quanto gelida Malga Fane, che nel film diventerà la località svizzera in cui presta il servizio militare il protagonista. La sfida più grande nel lavoro di ricostruzione -oltre al sostegno economico, Idm Film Commission Südtirol ha supportato la produzione grazie anche al coinvolgimento di molti professionisti e aziende locali che hanno affiancato la troupe sul set- è stato il freddo durante le riprese: visto che gli abiti usati in quel periodo storico erano molto aderenti, c’era poco spazio per poter aggiungere altri strati che aiutassero gli attori e le comparse a ripararsi dal gelo e dalla neve. Assieme a una squadra di attrezzisti, pittori e tecnici sono state ricostruite fedelmente in Alto Adige alcune edicole degli anni Quaranta e realizzati i carrozzoni con cui si muovevano le famiglie Jenisch: dopo accurate ricerche storiche, sono stati riprodotti in maniera molto accurata anche gli ambienti interni di queste vere e proprie ‘case mobili’. A volte il cast è persino rimasto bloccato in montagna da tempeste di neve. “E’ andata come quando uno vede una montagna grande e gli dicono: lì c’è il sentiero e devi arrivare là su. Da un punto di vista può preoccupare ma è anche molto bello. Il film aveva grandi complessità, piu lingue e location tutte storiche. Anche la parte svizzera doveva essere coerente con l’epica e la Svizzera ha meno ambienti coerenti, forse per un’evoluzione più rapida. C’è stato un grande lavoro che ci ha portato in Alto Adige in posti straordinari, in Trentino. La storia racconta di un uomo zingaro ma anche noi siamo diventati come la sua giostra. Un film itinerante complesso”. Anche per gli attori: “Franz e Valentina (Bellè, ndr) sono due fichi pazzeschi”, evidenzia il regista. “Lui ha un talento che ha già espresso in molti suoi lavori, l’ho strapazzato e l’ho messo in condizioni in alcuni casi complicate, come ad esempio per la necessità di parlare in lingue diverse. Si è preso uno zaino di fatica con grande professionalità. Valentina ha la poesia dentro e un senso di semplicità come valore alto”.

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