Marco Lovisatti racconta le sue esperienze con i grandi registi con cui ha lavorato

La locandina è il volto del film ancora da vedere. Nella locandina, come nelle copertine dei libri o dei dischi cerchiamo qualcosa che ci attragga, che ci convinca a vedere il film. “È il primo passo per il successo di una pellicola”. Marco Lovisatti, classe ’77 ne ha fatto una professione e oggi lavora per i più grandi registi italiani. Tra le sue creazioni la locandina di “C’è ancora domani”, film di Paola Cortellesi l’ultima quella di “Berlinguer, la grande ambizione“, di Andrea Segre. “Un amico – ci racconta ridendo – con lui ho iniziato dipingendo le vignette su carta per poi passare sul computer. Entrambi veniamo da Padova e praticamente abbiamo iniziato insieme”. Lovisatti vive a Roma ormai da tempo e nella Capitale ha messo su famiglia (con due bellissimi figli), il suo lavoro si schernisce è quello di grafico ma se applicato al cinema diventa qualcosa di più. Lo abbiamo incontrato nella sua casa al Pigneto per farci raccontare come è andata, dopo il travolgente successo di “C’è ancora domani”.

Il grafico Marco Lovisatti e il rapporto col regista Andrea Segre

“Io e Andrea Segre ci conosciamo da tempo e abbiamo un rapporto diretto quindi direi che stavolta è stato più semplice. Come sempre siamo partiti dalle idee prese dai vari fotogrammi del film e da alcune fotografie. Io di solito cerco di prendere ispirazione dal materiale che mi viene dato, tante volte vedo anche il film o mi leggo la sceneggiatura. È un po’ come avere le visioni – racconta ridendo – mi vedo proprio la locandina in testa poi vado a casa e comincio a lavorarci. Dopodiché lavoro su diverse proposte che presento sia alla distribuzione che al regista. Insieme cerchiamo di capire quale sia la migliore. Segre, seppure sia giovanissimo, devo dire che è molto esigente, ha le idee chiare e sa quello che vuole anche se mi lascia molta autonomia. Lavoro molto bene con lui” spiega Lovisatti. “Con la Cortellesi invece è stato un po’ più complicato perché il film richiedeva più attenzioni. Innanzitutto era in bianco e nero e la produzione mi aveva chiesto di rendere il tutto un po’ più “pop” e da lì l’idea del font rosso che contrastava con l’immagine in bianco e nero e la cornice rossa intorno. Un’altra problematica che spesso incontro riguarda il font delle scritte ma soprattutto il formato. Il film è girato in orizzontale ma la locandina necessità di una immagine in verticale. In questo caso bisogna intervenire sulla fotografia scelta, modificarla aggiungendo o togliendo cose”, continua il grafico.

La prima locandina su un titolo diverso

“Nel caso del film di Segre ad esempio ho lavorato inizialmente su una proposta di titolo diversa (“Segretario Berlinguer”) che poi è stata cambiata in corso d’opera. Sembra un dettaglio per un grafico questo significa ragionare su nuovi spazi, dimensioni e colori”. Marco Lovisatti, come tanti fa parte dei cosiddetti “invisibili” del cinema. Quelli che determinanti ma al tempo stesso nascosti al grande pubblico. Quelli che non vedi nei red carpet, che non ricevono citazioni o gratificazioni. Rimanere nell’ombra a Lovisatti non dispiace, per il “carattere timido e schivo” ma al tempo stesso ci tiene a precisare che “sarebbe importante dare il giusto risalto anche a chi nel cinema ricopre ruoli nascosti ma determinanti per la riuscita del successo perché – sottolinea – il cinema è un lavoro collettivo, il film è il risultato di un lavoro di gruppo in cui ogni tassello è fondamentale”.

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