Diversi i featuring per questo album: tra le dieci tracce compaiono anche Ghemon, Margherita Vicario, Davide Shorty, con grandi musicisti come Fabrizio Bosso e Richard Bona
C’è tutta l’anima jazz, soul, ma anche per certi aspetti pop di Serena Brancale nel nuovo album ‘Je so accussì’, che esce oggi, e ci fa conoscere l’artista con tutte le sue sfaccettature. “Io sono così – racconta a LaPresse – i miei brani sono soul, jazz, pop, le collaborazioni in questo disco sono superpop”. Tra le dieci tracce, infatti, compaiono featuring con Ghemon, Margherita Vicario, Davide Shorty, con grandi musicisti come Fabrizio Bosso e Richard Bona, che ha aperto a Serena Brancale le porte della family di Quincy Jones. “L’esperienza con Bona – spiega – è stata la prima presa di coraggio di questo album. Lui è stata la prima persona a cui ho chiesto una collaborazione, tramite i social, che per queste cose funzionano moltissimo. Mi è successo anche con Ghemon e Margherita Vicario. A Bona ‘Je so pazzo’ nella mia versione è piaciuto subito, e mi ha detto ‘ok facciamolo’. Lui lo ha riarrangiato con me, poi lo ha fatto sentire a Quincy Jones e lui lo ha apprezzato. Apprezza molto anche il fatto che canti testi in dialetto. Quando fai sentire le tue origini, a lui piace molto, così ora è in atto una collaborazione e non vedo l’ora di conoscerlo”. Oltre a ‘Je so pazzo’, l’album contiene anche altri due brani di Pino Daniele riarrangiati, ‘Alleria’ e ‘Vient’ e terra’, oltre a due canzoni in dialetto barese, ‘Je so accussì’ e ‘Sta uagnedd’. Due i brani dedicati alle donne, ‘Like a melody’ con Roshelle e ‘Donna’, con Margherita Vicario e Fabrizio Bosso. Chiudono l’album ‘Pessime intenzioni’ con Ghemon, ‘La dolce vita’ e ‘Rinascimento’.
L’artista sottolinea che in questo progetto sono fondamentali tre parole chiave: “Identità, sud e donna”. La prima perché “dopo tanto tempo è più chiara la mia idea di identità, voglio portare me stessa sul palco. Faccio jazz? Soul? Pop? Non lo so, io ero violinista, volevo fare l’attrice, poi ho cominciato con il jazz. Io sono così, come dice appunto il titolo del disco, unisco i generi, una cosa che negli Usa è normale, in Italia invece si fatica un po’. Ma un artista può fare tutto”. La seconda parola, ‘sud’, perché “quello che scelgo è sempre improntato sul sud. Canto Pino Daniele, che per me è fonte d’ispirazione, inserisco il dialetto sul soul e sul funk. Il sud è casa mia e scrivo molto più rapidamente in barese, i testi mi vengono velocissimi”. Infine, “canto la donna, non solo dal punto di vista dell’emancipazione, la donna nel quotidiano, che cucina, lavora per i figli, ma ha anche un rapporto intimo con il suo corpo. Se penso a emozionarmi e far emozionare, dedico i miei testi alle donne”.
‘Je so accussì’ è il terzo disco di Serena Brancale, un cofanetto di pietre preziose, canzoni e cover pensate per regalare un’immagine matura di se stessa senza rientrare in un genere musicale definito. Un progetto in cui convivono mille sfaccettature di un grande Sud, dal dialetto barese all’Africa. Con lo sguardo ora rivolto ai live: “I concerti ci saranno – conclude – ma aspettiamo di mettere su bene il calendario per poterne parlare. Ma una cosa è certa, quest’estate si suona”.
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