Apre lo spettacolo l'esibizione di Angelica, sul palco nessun riferimento alla vicenda Morgan. In 30mila all'Ippodromo di San Siro

Il caldo soffoca l’Ippodromo Snai di San Siro e il pubblico accorso a vedere Calcutta è bloccato da lunghe file all’ingresso della struttura, che fanno perdere a molti spettatori l’inizio del concerto, che non può cominciare dopo le 21.20 per il coprifuoco imposto alle 23. Per chi è già entrato, c’è l’esibizione di Angelica, la cantante finita al centro delle cronache per una brutta vicenda di stalking di cui sarebbe stata vittima da parte di Morgan, sotto processo a Lecco. Un caso che ha toccato anche lo schivo cantautore di Latina, compagno di Angelica Schiatti, suo malgrado tirato in ballo (e secondo gli atti destinatario di messaggi offensivi da parte di Morgan) e che per difendere la fidanzata ha rotto il suo proverbiale riserbo con una dura accusa a Warner Music, per il contratto offerto all’ex Bluvertigo, poi congelato dopo l’esplosione dello scandalo. Sul palco da Calcutta nessun riferimento alle polemiche. Il capofila dell’indie pop italiano porta in giro per lo Stivale il suo ‘Relax Tour Estivo’, che sta facendo registrare sold out quasi ovunque, Milano compresa, dove sono in oltre trentamila ad attenderlo.

Lo show

I visual dello stage sono volutamente low fi ma curati, in scaletta spazio all’ultimo album, il più battistiano della produzione di Edoardo D’Erme, a cui è affidata l’apertura dello show, con ‘Coro’ a fare da intro al singolo ‘Due Minuti’, che si inserisce perfettamente nella poetica calcuttiana, amatissima dal suo pubblico. E infatti parte il primo coro collettivo, sulle liriche, in bilico tra romanticismo e disillusione, che recitano: “Ti ho vista in un angolo, da sola nel traffico, ma magari non eri neanche te”. Gli slanci emozionali nelle canzoni di Edoardo sono sempre smorzati da ironia e dettagli minimalistici, una cifra che lo ha reso il cantore di una generazione precaria, sperduta e spaventata, ormai cresciuta con lui. I ventenni ormai vanno verso i 30 anche se il pubblico della Gen Z è presente. La nuova ‘Controtempo’ è preceduta dal classico spaccacuore ‘Cosa mi manchi a fare’ ma tutta la scaletta è un Greatest Hits per il devoto pubblico calcuttiano. ‘Milano è un ospedale’ assume un significato diverso stasera. Edoardo invita il pubblico a prendere il ‘Polase’ per andare ai concerti d’estate, assicurando di non essere pagato dall’azienda farmaceutica. La band lo asseconda in modo perfetto, preciso. I pezzi sono eseguiti in maniera filologica rispetto ai dischi e proprio qui può nascondersi un’insidia per Calcutta. La sua voce è quasi sopraffatta da quella del pubblico e il rischio è l’effetto karaoke, seppur piacevolissimo. Gli spunti più interessanti il songwriter italiano di maggior talento della sua generazione li offre quando effettua qualche scartamento, come il finale accelerato di ‘Milano’ o la hit estiva indie-reggae firmata con Takagi e Ketra, ‘Oroscopo’, trasformata in una ballata pianistica più intima. I classici dell’era indie ci sono tutti, ‘Del Verde’, ‘Gaetano’ e ‘Frosinone’. ‘Kiwi’ è un piccolo capolavoro del cantautorato italiano (e ancora ci sono echi di Battisti). Il pubblico, seppur stremato dall’afa, è felice, lo si vede sulle facce delle ragazze e dei ragazzi che cantano a squarciagola il verso culto della dolceamara ‘Paracetamolo’, “Lo sai che la Tachipirina cinquecento se ne prendi due diventa mille”. Arriva anche l’altro brano simbolo di ‘Evergreen’, ‘Pesto’ e la chiusura con il nuovo inno, ‘Tutti’, che in fondo ci fa capire che “siamo tutti falliti” e che non c’è niente di male.

Un bis extra inaspettato

Ma Calcutta ha in serbo una sorpresa per la parte di pubblico che ha perso l’inizio dello show e annuncia due canzoni extra. Un gesto non scontato e generoso. E allora il cantautore di Latina esegue nuovamente i primi due brani in scaletta, ‘Due minuti’, ‘Cosa mi manchi a fare’, con un regalo inaspettato ai fan che poi sciamano accaldati, esausti ma soddisfatti fuori dall’Ippodromo, in una notte milanese appiccicosa che sembra non volere concedere neanche un attimo di tregua dall’afa.

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