Intervista esclusiva di LaPresse alla campionessa Elena Sedina sul grande successo di Netflix 'The Queen's Gambit'

La regina degli scacchi italiana promuove la serie Netlix. Elena Sedina, campionessa nazionale in carica, ha apprezzato le vicende di Beth, la protagonista di ‘The Queen’s Gambit’, grande successo della piattaforma streaming. La serie, acclamata dalla critica, ha anche il pregio di aver acceso l’interesse nei confronti degli scacchi. Un mondo che Elena Sedina, originaria di Kiev e residente in Italia nel 1995, ha fatto suo sin da bambina. A 11 anni si è laureata campionessa femminile della sua città natale, a 16 ha conquistato il titolo femminile under18 dell’Unione Sovietica e tre anni dopo il titolo nazionale in Ucraina. Il preludio a una lunga sequenza di successi raccolti in tutto il mondo. Oltre al titolo di campionessa femminile italiana, Elena Sedina vanta quelli di Maestro Internazionale Assoluto e Grande Maestro Internazionale Femminile. “Ho visto i primi episodi. L’ho trovata molto piacevole, le cose raccontate corrispondono alla realtà”, racconta a LaPresse. “Anche colleghi e conoscenti ne parlano benissimo”.

DOMANDA. Conosceva il libro da cui la serie è tratta?

RISPOSTA. No. Di romanzi che parlano di scacchi ho letto solo ‘Un re clandestino’, la storia di un Fahim, un ragazzino genio degli scacchi che fugge dal Bangladesh e approda in Francia.

D. ‘La regina degli scacchi’ accontenta l’occhio dell’esperto?

R. Hanno contattato dei campioni come consulenti, le posizioni scacchistiche messe in scena sono corrette. Anche se ho notato qualche imprecisione già nel primo episodio, sulle varianti. La serie comunque è interessante perché mette al centro la sfida tra uomo e donna.

D. Nella serie, ambientata negli anni ’60, la protagonista si trova a gareggiare in un mondo dove la presenza maschile è altissima. E’ ancora così?

R. Le cose sono abbastanza cambiate. Ma c’è un campionato del mondo aperto sia agli uomini che alle donne e un campionato del mondo riservato alle sole donne. Le donne sono ancora una piccola parte, il 10% del totale. Mi chiedono spesso il perché. Sull’aspetto della preparazione tecnica, le donne competono alla pari con gli uomini. Il problema è che le donne hanno spesso altre occupazioni rispetto agli uomini, in primis la famiglia. E forse conta anche l’aspetto psicologico: le donne in genere sono più sensibili e in questa disciplina contano molto la freddezza e la fermezza. Anche la preparazione fisica fa spesso la differenza, perché un torneo può durare anche due settimane.

D. Com’è la vita di una scacchista che pratica ad alti livelli?

R. E’ ovviamente una disciplina dove conta molto l’aspetto mentale, ma anche qui si segue una preparazione. Ci si allena tutti i giorni e prima di un torneo l’attività si intensifica. Si studiano le tattiche degli avversari, anche se alla fine ci conosciamo un po’ tutti, ormai. Io, in media, studio un paio di ore al giorno, dipende anche dal tempo che occupo con i miei impegni di istruttrice. Per tenere allenato il fisico pratico ginnastica, nuoto, un po’ di corsa.

D. La protagonista impara a giocare in orfanotrofio, da un custode. E lei?

R. Ho iniziato intorno ai 7 anni. Mio padre ha insegnato il gioco a me e mia sorella, ci ha portato in un circolo degli scacchi. Poi ho iniziato a seguire corsi, con insegnanti donne. All’età di 9 anni mi sono fatta notare pareggiando con il vicecampione del mondo Bronstejn. C’è da dire che io venivo da Kiev, dove giocatori di livello ce n’erano pochi, a differenza di Mosca, indiscussa capitale della disciplina.

D. Per l’americana Beth i campioni da battere sono proprio i russi.

R. Nell’ex Urss il gioco degli scacchi era diffusissimo, Stalin ne era un grande appassionato, così come molti capi del Partito comunista. E la guerra fredda si è combattuta anche con gli scacchi, basti pensare al leggendario incontro tra Spasskij e Fischer.

D. E in Italia? A che punto è il movimento?

R. La scuola italiana non esiste. Nell’antichità questo Paese ha avuto tanti giocatori celebri, penso a Gioacchino Greco nel ‘600, a Domenico Ponziani, che ha dato anche il nome a un’apertura, nel ‘700. Gli scacchi, allora, erano molto popolari. Oggi il movimento italiano è sostanzialmente amatoriale. La federazione si sta comunque muovendo e la disciplina riesca a diffondersi un po’ di più anche grazie ai corsi e alle gare online. Le cose sono migliorate, ma non è possibile parlare di una scuola italiana.

D. ‘La regina degli scacchi’ descrive con efficacia la grande rivalità tra i giocatori: è davvero così?

R. E’ molto importante sentire la competizione. Del resto, Kasparov ha detto che gli scacchi sono lo sport più violento che esista. Devi sentirti dentro l’animo del combattente: vincere vuol dire annientare l’avversario. E questo ti infonde la carica necessaria.

D. Il successo della serie ha acceso l’interesse verso gli scacchi: qualche consiglio per il neofita?

R. Durante la pandemia tante persone hanno iniziato a giocare online, molte gare si sono svolte a distanza, vista l’impossibilità di farle in presenza, anche se la federazione ha varato un protocollo, come nelle altre discipline. Molti giovani si avvicinano agli scacchi con le partite veloci. Ma così non è giocare. Se si vuole davvero imparare e crescere, bisogna fare le cose sul serio, studiare, magari affiancandosi a un esperto. La bellezza degli scacchi non si può apprezzare in pochi secondi.

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