Di Andrea Capello – Krasnaya Polyana (Russia), 19 feb. (LaPresse) – Arriva dal biathlon la settima medaglia dell’Italia ai Giochi di Sochi 2014. E’ un bronzo ma vale come un oro perché la disciplina composta da tiro al poligono e sci di fondo non dava un apporto al medagliere azzurro addirittura da sedici anni, quando Pieralberto Carrara, vinse l’argento nell’individuale di Nagano ’98. Invece il terzo posto della staffetta mista, nuova disciplina olimpica che debutta proprio a Sochi e dove gareggiano le due migliori donne e i due migliori uomini per ogni squadra, è il termometro di un movimento che in Italia dimostra di essere in crescita.

Dorothea Wierer, Karin Oberhofer, Dominik Windisch e Lukas Hofer effettuano una gara vicina alla perfezione senza commettere passi falsi. Il ‘capitano’ Hofer, perfetto al tiro e velocissimo sugli sci, nell’ultimo giro può addirittura togliersi il lusso della passarella. Davanti all’Italia solo l’inarrivabile Norvegia, dove Ole Einar Bjoerndalen diventa l’atleta più medagliato nella storia dei Giochi Olimpici invernali con 13 medaglie, e la Repubblica Ceca. Restano invece dietro veri mostri sacri di questa disciplina come Russia e Germania. Tutto questo con la squadra più giovane di tutto il lotto delle partecipanti per un futuro che si annuncia davvero promettente.

“Da Vancouver in avanti abbiamo fatto un bel progetto con Coni e Fisi. Ci hanno fatto lavorare, siamo partiti con i giovani con tanto coraggio ed abbiamo avuto ragione”, dice soddisfatto il dt Fabrizio Curtaz. “Siamo crescuti molto e forse non siamo ancora al culmine – aggiunge – Questa medaglia ci voleva perché fino ad ora non stava arrivando niente e ci sentivamo un po’ frustrati”. “Il merito è di tutti – dice Karin Oberhofer -Abbiamo fatto tutti il nostro lavoro e finora non c’eravamo ancora riusciti, non siamo molto stabili sul tiro ma abbiamo azzeccata la giornata. Questa è la medaglia più bella per tutta la squadra”. “Dedico il bronzo alla squadra e alla mia famiglia, che mi da’ una mano – le fa eco la ‘peperina’ del gruppo Dorothea Wierer – Abbiamo tutti caratteri diversi ma andiamo d’accordo e ci divertiamo”.

“La dedica va alla mia famiglia ed a mio fratello Markus, che è qui con me. Mi ha aiutato tanto a crescere e a migliorare. Questa medaglia è anche sua”, dice Dominik Windisch che Curtaz definisce affettuosamente “il nostro orsetto. Un pacioccone, ma anche un uomo da gara capace di grande concentrazione”. A trainare il movimento c’è infine Lukas Hofer, una Ferrari con il biathlon nel dna. Le sue sono le parole di un leader: “Quando ho preso il cambio da Dominik (Windisch, ndr), mi sono detto: stavolta o mai più, rimanendo concentrato dall’inizio alla fine. Abbiamo fatto vedere che, se tutto va bene, possiamo lottare contro chiunque”. A giudicare dallo loro determinazione la sensazione è che di questi quattro ragazzi si sentirà ancora parlare.

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