Di Attilio Celeghini

Savigliano (Cuneo), 18 apr. (LaPresse) – In un’era in cui la tecnologia della comunicazione ha azzerato le distanze tra i continenti facendo entrare il mondo direttamente nel nostro salotto, Mattia ha deciso di navigare controcorrente. Lui quelle strade, quelle città, quelle montagne e quei mari ha deciso di andare a scoprirli in prima persona. Viverli, toccarli con mano, portarli per sempre dentro di sé. Realizzando un’impresa che, c’è da giurarci, cambierà inevitabilmente il suo modo di intendere e proseguire l’esistenza.

UN’ESPERIENZA DA FILM – A 26 anni Mattia Miraglio ha deciso di intraprendere il viaggio del mondo a piedi. 50mila chilometri da coprire in cinque anni. Un’esperienza da film, che lo porterà alla scoperta di 44 paesi e dei più svariati paesaggi del globo: dalla Nuova Zelanda alla costa ovest del Nord America, poi l’America del Sud, la costa orientale dell’Africa, quindi di nuovo l’Europa. Lo ‘start’ è fissato per la mattina del 19 aprile, da Savigliano, comune di 20mila abitanti alle porte di Cuneo. Dove è nato, cresciuto e negli ultimi mesi, una volta sparsa la notizia, è stato consacrato a celebrità tanto che le voci di incoraggiamento hanno gradualmente sopito i cori di chi prova a dissuaderlo da tale follia. A partire dal padre, che dopo l’iniziale smarrimento “oggi è diventato il mio primo fan”. Racconta Mattia: “Fatico persino a girare per il centro. La gente mi ferma per strada, c’è chi mi offre dei soldi, mi dicono: ‘Questi dovrebbero bastarti per due giorni…’. Il sostegno che ho ricevuto negli ultimi tempi è incredibile. Non era affatto scontato. Hanno fiducia in me, è come se mi chiedessero di camminare anche per loro”.

“ADESSO O MAI PIU'” – Cinque anni nella vita di un ragazzo di 26 sono un’enormità, rappresentano l’anticamera della vita adulta, dove si gettano le fondamenta di quella che sarà la propria strada nel futuro a venire. Perché questo viaggio e perché proprio ora? “Amo viaggiare e ho vissuto spesso all’estero”, è l’inevitabile incipit di Mattia che mi accoglie nella sua casa incastonata nella campagna, in una mattina di sole primaverile, le Alpi che si delineano su uno sfondo azzurro che inviterebbe già alla partenza. “E come molti miei coetanei – prosegue – ero in cerca del mio posto nel mondo. Il ‘lampo’, se così si può chiamare, è arrivato percorrendo la Via Francigena. Non mi sono sentito mai così vivo. E’ in quel momento che ho capito cosa volevo fare. Non ho un lavoro, non ho ancora una famiglia mia, mi sono detto: Adesso o mai più. Ma è un desiderio che, in fondo, dentro custodivo da sempre. Aspettava solo il momento giusto per uscire fuori”.

SEI MESI PER CINQUE ANNI – La preparazione del viaggio è durata sei mesi: “Ho studiato il percorso, mi sono preparato fisicamente, correndo 20 km al giorno e camminando in montagna”, spiega. “Ho valutato le problematiche, come quelle legate alla disponibilità economica, le logistiche organizzative. Mi sono rivolto alla testimonianza di persone esperte, quelle che potevano consigliarmi ed indirizzarmi sulle scelte. Poi c’è stata la parte ‘medica’, le visite, i vaccini”. Perché cinque anni? “Un semplice calcolo. E’ il tempo che, sulla carta, è necessario per coprire i 50mila chilometri. Ma questa non è una maratona e non ho un cronometro da rispettare. Magari ci metterò di più o ci metterò di meno, vedremo. Se troverò un posto che mi entusiasmerà particolarmente potrei soggiornarci un po’ di più”.

NIENTE PAURA – Durante il racconto Mattia sorride, sprizza entusiasmo e curiosità misti alla pacatezza di uno in partenza per una semplice gita fuori porta. Come se il rischio dell’addentrarsi, tra le tante, anche in terre selvagge e ostili e sfidare l’ignoto non lo riguardassero. Nessuna paura di un viaggio del genere? “No”, scandisce lui a chiare lettere, con una sicurezza che farebbe cambiare idea anche ad un pantofolaio. Anche se, confessa Mattia, alcune ‘tappe’ previste dal percorso un po’ lo intimoriscono: “Come l’Africa. Di questo continente, a parte le zone più civilizzate, abbiamo pochissime informazioni. Molte meno che rispetto all’Asia, in proporzione. Mi sarebbe piaciuto il Pakistan, ma l’ho escluso perché è troppo pericoloso. In Iran avrò il problema del visto turistico, dal momento che dura un mese e per attraversare tutto il paese ce ne vogliono almeno due. Un posto che mi hanno assolutamente sconsigliato è la Colombia. In Myanmar, invece, non potrò andarci perché c’è la guerra”. Anche se Mattia, da bravo avventuriero, non esclude nulla: “Dipenderà dalle situazioni e dalle circostanze in cui mi imbatterò. Sparsi per il mondo ho molti contatti. Ad esempio, a Londra ho conosciuto un iraniano che mi ospiterà nel suo paese”.

TRA TERZANI E DIRE STRAITS – In ogni caso la ‘mappa’ che scruterà in questi cinque anni rappresenta solo il soggetto, il canovaccio di un film che verrà girato passo dopo passo, senza conoscere quale sarà la scena successiva. Con il semplice ausilio di un Gps, che insieme ad un piccolo pc portatile sono le uniche concessioni alla tecnologia (“Mi piace, ma cerco di sfruttarla senza che lei sfrutti me”), tramite il quale comunicherà la sua posizione ed eventualmente segnalerà casi di necessità e pericolo. Niente navigatore satellitare, però. Ad accompagnarlo, la ‘guida spirituale’ di Terzani (“I suoi scritti sul viaggio sono illuminanti, anch’io a livello spirituale sono alla ricerca di qualcosa, pur non essendo credente”), la musica dei Dire Straits e il Kindle (“Ho iniziato ‘Mondo via terra’ di Eddy Cattaneo, voglio assolutamente finirlo”). Anche se Mattia non sarà davvero solo: da casa, la sua base, il suo ‘staff’ (“senza di loro, non sarei riuscito ad organizzare tutto”), seguirà costantemente i suoi passi e le sue avventure, contribuendo a trasferirli nel sito mattiamiraglio.it, curato da Gbsweb di Torino che coordina la comunicazione sui social network, già seguitissimo, così come la pagina Facebook. “Quando lo abbiamo aperto e ho scoperto che dopo poche ore aveva già più di mille ‘like’, mi sono quasi spaventato”, sorride mentre avvicina quello che sarà l’altro suo inseparabile compagno di viaggio: un passeggino, modificato in modo da poter essere trainato o spinto, con il quale trasporterà il suo bagaglio. Lo ha ribattezzato il ‘Carretto’. Sulla copertura esterna sono visibili tutti gli sponsor che hanno dato fiducia all’impresa di questo Christopher McCandless piemontese che, nonostante punti dritto al mondo, resta legatissimo alle sue radici: “Amo questa regione. All’estero, poi, mi sento più piemontese che in Italia”.

ON THE ROAD – Ti mancherà la vita di provincia? “Mi mancherà la sicurezza garantita dal posto in cui vivo, dalle persone che ho intorno a me”, ammette. Non ti spaventa la solitudine? “No. Anzi, la cerco. Non dico di essere sociopatico. Amo la gente, ma amo tantissimo stare solo con me stesso”. Paura di non farcela? “Il trucco – dice – è quello di non vedere mai la fine del viaggio. E sapere che alla fine tornerò a casa cambiato, con un bagaglio enorme composto da facce, luoghi, esperienze, mi elettrizza”. Alla fine di tutto però la spinta, la ‘luce’, la motivazione imprescindibile per imbarcarsi in questo incredibile giro del mondo senza tecnologie e mezzi (“dove possibile userò solo i piedi, quando non potrò ricorrerò prevalentemente alle navi”) è celato nel profondo di noi stessi e sembra rivelarsi esclusivamente a chi la cerca con invidiabile tenacia. E Mattia, rivela, questa luce l’ha trovata: “Dicono che tutti i viaggiatori hanno la pace riflessa negli occhi. Quando tornerò, spero di averla anch’io”.

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