Chi ha consuetudine con le gare in pista e su strada sa individuarlo perfettamente: è quel signore minuto e con i capelli grigi che applaude e incita alla linea d’arrivo delle gare. E spesso, un secondo dopo, festeggia e abbraccia il vincitore. Del resto lo conosce benissimo:
Gianni Demadonna è il manager dei top runner, partito dal trentino come atleta per poi rappresentare buona parte dei nomi più forti della storia di questo sport negli ultimi trent’anni, con la sua Demadonna Athletic promotions. “E’ cambiato tutto tantissimo, oggi la competizione è altissima”, racconta a LaPresse. Ma l’Italia del mezzofondo sta tornando, assicura.
A partire dal ‘suo’ Yeman Crippa, primatista nazionale dei 3000, 5000, 10000 metri piani e della mezza maratona, che ad aprile debutterà sulla distanza regina a Milano: “Può fare bene, se si allena: alla prima può valere due ore e sei minuti”, è la previsione.
Prima da atleta, poi da manager, lei ha dedicato gran parte della sua vita alla corsa.
Dedicato è una parola un po’ forte, ma si, ho iniziato prima come atleta e poi ho continuato con questa carriera lavorativa che mi ha dato anche più soddisfazioni. Ho fatto atletica da quando avevo 14 anni, a 35 ho smesso dopo il secondo posto a New York di un paio d’anni prima.
Come è passato da un ruolo all’altro?
Abitavo nello stesso appartamento a Milano con Francesco Panetta, io ero più avanti con gli anni e lui mi ha detto ‘Dai, dammi una mano’ e ho iniziato a seguirlo. E cominciare con un campione del mondo è sicuramente più facile, anche se non avevo l’esperienza di oggi avevo un po’ le spalle coperte.
Da allora ne ha viste tante.
Ho visto passare generazioni di atleti, ho iniziato con Francesco, Alberto Cova anche se purtroppo era già negli ultimi anni di carriera, poi Stefano Baldini e ora Yeman Crippa. Tutti italiani al massimo livello. A me piacciono soprattutto il mezzofondo e il fondo, mi piace vedere le corse, mi piace il movimento di una gara rispetto ad altre specialità come il lancio del peso.
Come è cambiata l’atletica in questi anni?
Tantissimo, se pensiamo solo in termini di mezzi di comunicazione. Io avevo il telex per comunicare con i primi atleti in Kenia, e poi è arrivato il fax, e internet, per non parlare di Whatsapp e il cellulare con cui puoi raggiungere chiunque in mezzo all’Africa. Era tutto molto più rallentato, in termini di velocità e possibilità. Mi ricordo che spendevo 30 milioni di vecchie lire per chiamare al telefono, oggi c’è Whatsapp con cui mandi un messaggino gratis agli atleti in Kenya. Sono cambiate anche le gare. Prima avevamo tantissimi meeting, in Italia erano venti e ora sono tre, in Europa ne sono spariti una trentina, invece sono cresciute molto le mezze e le maratone. In Italia però sono pochissime le manifestazioni di un certo spessore, c’è la Boclassic, e poi i cross, la cinque Mulini e il Campaccio che sono rimasti belli da vedere.
Si corre molto di più su strada.
L’atletica in pista è retrocessa, diciamo così, mentre tutte le grandi città nel mondo hanno la maratona che fa massa sia per gli organizzatori che per chi corre. Organizzare un meeting oggi non fa guadagno. Ma è anche una questione di mentalità, a Roma quasi regalano gli ingressi, invece a Zurigo la gente paga 30 euro per le curve, prezzi altissimi per la tribuna, lo stesso a Bruxelles, a Losanna, a Parigi hanno difficoltà come noi, sono andati dallo stade de France al più piccolo Parc des Princes.
Lei ha seguito il trend.
Sì, negli ultimi anni mi sono spostato sulle lunghe distanze, è lì che devi stare se vuoi sopravvivere o vuoi guadagnare. Quest’anno abbiamo vinto 4 su 6 Major Marathons con gli uomini e due con le donne, praticamente il 50% dei podi. Siamo su un altro mondo sia come premi che come ingaggi. Io ho avuto Mary Keitany che ha vinto 4 volte New York e 3 Londra, bastano pochi atleti così per stare in piedi anche se la struttura è cresciuta. Le gare italiane sono piccole, penso a Roma, Milano, Venezia, sono maratone di terzo livello per quanto riguarda gli ingaggi, in giro per il mondo invece abbiamo grandi numeri anche se il Covid ha dato una bella mazzata fermando tutto da marzo 2020 alla seconda metà del 2021.
Come è andata?
Per un anno non abbiamo neanche lavorato. Adesso stiamo riprendendo e speriamo che questo virus ci lasci in pace. Ma certo, il mercato cinese per esempio è saltato completamente, prima c’erano 40 tra mezze e maratone, negli ultimi tre anni non si è fatta neanche una gara.
Diceva che negli anni la sua agenzia è cresciuta tanto.
Oltre me, ci sono due segretarie, un amministrativo, due persone che fanno il mio stesso lavoro e poi la grossa organizzazione in Kenya ed Etiopia. Ci sono gli allenatori Claudio Berardelli a Kapsabet e Gabriele Nicola a Iten , più una trentina di persone tra il Kenya e e l’Etiopia tra fisioterapisti e staff. In Kenya è più facile per gli atleti, si esce di casa e si corre, in Etiopia la vita è più difficile devono spostarsi da Addis Abeba e a volte ci mettono anche due ore, magari si parte alle 5 del mattino e si torna alle dieci di sera, però vogliono stare lì e allora lo fanno.
Come si scopre un futuro campione?
Si va alle gare a prenderli quando sono giovanissimi perché la concorrenza è davvero alta. In Kenya tra registrati e non siamo una sessantina di agenti, in Etiopia siamo tra i quindici e i venti. Si scopre con una rete che ti aiuta, ti porta un ragazzo, te lo segnala. Adesso si prendono davvero quando son piccoli, anche se l’età non è veritiera. In Etiopia lo fanno meno, in Kenya barano sull’età brutalmente. Loro lo sanno quanti anni hanno, se ci entri in confidenza te lo dicono ma spesso uno di 19 anni sul passaporto in realtà ne ha 23. La rete è fondamentale: per esempio ho trovato Kibiwott Kandie, che nel 2020 ha fatto il record del mondo sulla mezza in 57 minuti e 32 secondi, perché ha fatto il servizio militare e lì c’era uno che conoscevo. Ma lo considerava appena bravino: lo abbiamo preso e dopo due anni ha fatto il record. Quindi ecco, ci vuole anche fortuna, non tutti gli atleti che prendi vanno forte. Una volta si andava con la canna da pesca, prima dicevi vieni a fare una gara in Europa, oggi gli devi proporre un contratto con uno sponsor, quindi devi avere anche chi crede con te.
A volte un po’ una scommessa.
Amos Kipruto è sempre stato bravino, ma solo negli ultimi anni è diventato bravissimo, è un ragazzo del 1992 di passaporto, ha vinto la maratona di Roma nel 2016 in 2h08’12” e ci ha messo sei anni a vincere Londra, quest’anno,con 2h04’39’. Ha avuto miglioramenti sostanziali dal 2019 in poi. Certo, le scarpe lo hanno aiutato, due minuti li ha abbattuti così.
Le superscarpe sono uno degli argomenti caldi dell’atletica.
E’ inutile negarlo, le scarpe prima della Nike ma adesso anche di altri produttori stanno danno un grande contributo. Io ho la maggior parte degli atleti Adidas, abbiamo avuto tre anni di grande sofferenza dal 2016 al 2020, non vincevamo più. Mi chiedevano ‘Ma son diventati brocchi?’, ho fatto notare che no, erano le scarpe, che dati alla mano tutti gli atleti Nike erano migliorati da un minuto e mezzo ai 2 minuti e dieci secondi. Si sono resi conto che foam e piastra fanno la differenza, come altri, e ora vinciamo.
Chi ha beneficiato di queste nuove tecnologie è Kipchoge. Ce la farà ad abbattere il muro delle due ore?
Premesso che lo ha fatto già, anche se in una maratona non regolamentare come quella organizzata a Vienna, secondo me quest’anno a Berlino se partiva più tranquillo faceva 2h00’30”. E’ partito troppo forte, con un minuto di differenza tra le due mezze, che invece devono essere quasi uguali, perché poi l’ultimo chilometro se ne hai acceleri ma se sei stanco non vai più. Per scendere sotto le due ore in gara servono delle condizioni come quest’anno a Berlino, zero vento, temperatura ideale, delle lepri che ti portino fino al 30simo ed è difficile a quel ritmo. Analizzando quella gara lui è calato tanto dal 28simo al 35simo chilometro, poi si è ripreso ma non bastava. Resta che è un grande, la sua capacità di performare a quell’età è incredibile.
Però non sembra convinto possa farcela.
Lui ci tenterà ancora nel 2023 a Berlino, penso, ma qualche dubbio ce l’ho, più va avanti più diventa vecchio, poi quando vedo un debutto come quello di Valencia di Kelvin Kitpum che ha fatto 2h01’53” penso che ha il potenziale adatto per infrangere il muro. Prima o poi qualcuno c’è che lo fa, non so se sarà Kipchoge, che certo dalla sua ha una meccanica di corsa incredibile, è bellissimo vederlo correre, tanto è vero che nella sua carriera non si è mai fatto male. Era un predestinato, e quando è passato alla maratona ha dimostrato di poter fare delle cose incredibili.
A proposito di debutti, Yeman Crippa farà il suo esordio a Milano ad Aprile.
Le aspettative ci sono, andrà in Kenya i primi di febbraio ad allenarsi. Ha 27’10” sui 10.000 metri, il record sulla mezza maratona a Napoli con 59’26” e secondo me vale di meno, quel percorso non è facilissimo. Un buon maratoneta ci mette in media 6 minuti in più rispetto al doppio del suo tempo sulla mezza. Gliene attacco otto: per me vale 2 ore 6 minuti e venti, trenta secondi. Se si allena bene per fare la maratona, che è tutto un altro sport, devi adattare l’organismo a uno sforzo diverso. Alla Boclassic sui diecimila metri Kipruto che ha vinto Londra quest’anno ha preso 20 secondi da Crippa, che in teoria, a livello fisiologico, potrebbe diventare un maratoneta molto più forte, ma deve lavorarci.
La maratona è sempre più popolare anche tra gli atleti professionisti.
Ormai non passano più dalla pista, dove guadagni mille euro a gara, con mezza maratona e maratona porti a casa molto di più. Guardiamo Letesenbet Gidey, che ha i record mondiali dei 5000, 10000 metri piani e pure della mezza, poteva restare ancora sulla pista ma è voluta andare sulla maratona subito e perché? Perché vai a fare Valencia e ti danno 200-300 mila per partire. Se invece fai la golden league ti danno 10mila dollari a tappa e parlo dei migliori, quelli che vanno sul podio. Non ci vivi di atletica in pista. Sta diventando un mondo competitivissimo e i tempi si abbassano rapidamente, ma non è che sono tutti drogati, è che quando la fame spinge ti alleni duramente. E poi c’è il ruolo di noi manager, che troviamo questi ragazzi e portiamo metodologie di allenamento. In maratona se hai il talento e non ti sai allenare non ne viene fuori niente. E’ cambiato tutto, io quando facevo un lungo lo facevo a 3’30, questi ci fanno i primi 5-6 km per riscaldarsi.
Anche le donne vanno molto più forti.
Io ho la campionessa olimpica di maratona Peres Jepchirchir, ha vinto in successione New York 2021 e Boston 2022, poi ha avuto un infortunio un mese e mezzo prima di New York 2022, ma penso che il suo potenziale sia migliore del 2h14’58” della Beriso a Valencia. I tempi si abbassano anche nella gara femminile, la gente magari pensa siano dopate, io invece penso che siano ancora indietro, anche se meno di una volta: guardando le classifiche del 2022 abbiamo 29 atlete sotto le 2 ore e 20, non era mai successo.
E in Italia quali sono i nomi che vede all’orizzonte?
Quest’anno agli europei abbiamo visto dagli 800 ai 1500 ragazzi giovani che possono crescere. Pietro Arese ha talento,Yassin Bouih pure. Nei diecimila abbiamo vista Pietro Riva e Crippa, Yohanes Cappinelli nella mezza sta andando forte, Eyob Faniel ha fatto il record in maratona ma con le scarpe nuove, perché certo Stefano Baldini con queste ci faceva 2 ore 5 minuti e 15 o 20 secondi, comunque lui può scendere sotto le due ore e 7 minuti. Io credo che Crippa se mantiene questa voglia di sacrificarsi, perché non è facile stare 40-50 giorni in Kenya ad allenarsi soltanto, ha i numeri per fare 2 ore e 5 minuti. In pista sui 5 mila e i diecimila può fare ancora i suoi personali e penso possa andare sotto i 59 minuti in mezza maratona. Per la maratona, potrebbe essere tra i protagonisti dei giochi olimpici 2028. Nel mezzofondo veloce Arese può fare delle belle cose e magari in due tre anni anche un 5mila. C’è movimento, io credo che il mezzofondo italiano stia tornando.