La campionessa europea under 23 dei 5000 metri piani: "A Parigi spero di fare meglio di Tokyo"

Voleva fare medicina, ma significava andare a vivere in un’altra regione e rinunciare all’atletica. Così si è iscritta a ingegneria edile e architettura, “non proprio facilissimo, anche perché abbiamo l’obbligo di frequenza dei corsi e un sacco di progetti da consegnare, ma vengo dal liceo scientifico e per me la matematica è importante. Riesco a organizzarmi con il carico di allenamento, e poi sono mattiniera, quindi spesso mi alleno prima di andare a lezione”. Nadia Battocletti, 22 anni, campionessa europea under 23 dei 5000 metri piani, detentrice del record nazionale dei 5 km e dei 3000 metri piani indoor, 3 volte campionessa italiana di cross lungo, finalista a Tokyo nei 5mila metri, è cresciuta in un paesino del Trentino, Cavareno, “quand’ero piccola ho fatto un sacco di sport, dai 6-7 anni ho fatto tennis per qualche anno oltre all’atletica. Che significava ancare a correre nei boschi, giocare a nascondino con gli altri, da noi non c’erano piste. Ma sono molto fortunata a vivere in Trentino, c’è tanto spazio per correre. La pista d’inverno la tocco poco, anche perché quando nevica poi si ghiaccia”, racconta a LaPresse. Nadia è figlia d’arte: la mamma è  Jawhara Saddougui, ex atleta marocchina, il papà Giuliano, 17 presenze in nazionale e un oro a squadre agli europei di cross ottenuto nel 1998, oggi è il suo allenatore. “Ci vogliamo un gran bene e abbiamo tutti e due lo stesso obiettivo. Lui è molto bravo a tenere separati i ruoli, io non ne approfitto mai nel dirgli ‘dai papà, l’ultima ripetuta non la facciamo’. È bravissimo a organizzare tutto, e a me piace avere tutte le cose sistemate”. Essere figlia di due atleti non le pesa né teme il confronto, “io lo vivo bene, tranquilla, per me l’atletica è stata un po’ un gioco fino ai 14 anni, anche dopo, diciamo che è diventata una cosa seria quando sono entrata nel gruppo sportivo delle fiamme azzurre. Non mi sento mai a disagio nel pensare ai tempi che facevano i miei, mi piacerebbe avvicinarmi, certo”. In più avere due genitori che appartengono allo stesso mondo “aiuta, mi sento molto fortunata, mia mamma cerca di supportarmi sempre, e posso parlarle di quello che succede o provo anche se non è lì con me”.

“Vorrei rivivere le stesse emozioni di Tokyo”

La gara preferita? “Mi piacciono un sacco i tremila ma in realtà mi trovo bene su tutte le distanze che corro, sui 5mila avrei voluto fare meglio l’anno scorso, ma a inizio stagione ero infortunata, poi ho avuto la mononucleosi. Il cross mi è sempre piaciuto, perché non ha tempi, spesso tutte le previsioni vengono ribaltate. E poi è vario, non è come fare il topolino in pista: dovunque vai hai un percorso diverso”. Per quest’anno si è data un programma molto ampio, dai 1.500 fino ai 10mila metri, dove “dovrei fare un po’ meno di 32 minuti, 31, ma parto da zero, è la prima volta, vediamo. Faccio i campionati italiani”. Nel mirino c’è il 5mila a giugno a Oslo, dove proverà il minimo per i campionati mondiali e per i Giochi di Parigi. “Ormai manca un anno, vorrei riscoprire e rivivere le stesse emozioni di Tokyo. Andare alle Olimpiadi era il mio sogno, a inizio stagione ero infortunata e invece sono arrivata in finale. Se ci ripenso mi viene un brivido: la call room, il villaggio olimpico, gli altri atleti, la pista… Sono cresciuta molto, oggi sono più matura, a Parigi spero di fare meglio“. Più in là chissà, magari ci saranno le lunghe distanze: “la mezza, la maratona mi interessano ma non adesso, ci penserò tra 5 anni”. E nel futuro l’ingegneria o l’allenamento? “Mi sono messa a studiare per occupare il tempo, mia mamma è socia di una ditta di ingegneri e architetti quindi chissà, il posto lo avrei. Per l’allenamento invece ti dico già di no, ci vuole talento: mio papà lo ha, io ti posso supportare ma non ho quel talento lì. A volte sento gli altri atleti parlare e io zitta: posso costruirti un edificio ma non dirti che allenamento fare”.

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