L'intervista al primatista italiano: "Credo che il diecimila sia quello su cui riesco a esprimermi meglio"
Dopo la delusione all’esordio in maratona, il 2 aprile a Milano, è riapparso la scorsa domenica sui 10 km alla DkRace di Monza, vinta in 28:02, quindici secondi sotto il suo precedente primato. Tradotto: Yeman Crippa c’è ed è pronto a dire la sua. Il primatista italiano dei 3000, 5000, 10000 metri piani e della mezza maratona sarà alla Coppa Europa, il 3 giugno in Francia, e poi ai mondiali di Budapest. “Sono convinto che il lavoro fatto tra novembre e adesso, con la preparazione in maratona, mi aiuterà molto”, dice a LaPresse. Nell’orecchio però c’è una voce, quella della distanza regina, che continua a tentarlo per le prossime Olimpiadi: “A me ispira – ammette – bisognerà vedere dove riesco ad arrivare”.
Il risultato di domenica è una bella iniezione di fiducia per questa stagione, come è andata?
Era un bel percorso, con poche curve anche se c’era una piccola salita nell’ultimo tratto. Dopo la maratona ho recuperato bene, ora sono un paio di settimane che ho ripreso con intensità, sono a Livigno in altura.
C’è un’immagine di te seduto a terra, subito dopo il traguardo della maratona di Milano dove speravi di battere il record italiano al tuo esordio e sei arrivato quinto dopo un problema negli ultimi chilometri. Cosa hai pensato?
In quel momento ero frastornato, mi sono proprio fermato per capire. Sono contento di come ho affrontato l’ultima parte di gara, non mi aspettavo l’imprevisto, al 39simo chilometro mi sono dovuto fermare a rimettere. Ma la maratona non è mai matematica, tutti mi dicevano che non si fanno i conti ed è proprio così.
Insomma, la maratona ti è piaciuta.
Alla fine è stata una delle gare che mi hanno emozionato di più. Ci ho lavorato con dedizione, mi sono allenato tanto, e ci ho messo il cuore. E’ molto affascinante, non è noiosa o lunga come si può pensare senza averla mai fatta. E’ completamente diversa dalle distanze più corte, i ritmi sono più lenti: sono due fatiche differenti. Mi è rimasta nella testa e nel cuore, anche alcuni allenamenti, alcune corse lunghe mi hanno lasciato più soddisfatto rispetto alle sessioni di ripetute.
Quindi ci riproverai.
Ci tornerò più preparato e motivato, penso il prossimo anno, nella stagione primaverile. Entro marzo, così da poter recuperare in caso di esordio in maratona.
I 42 chilometri olimpici sono una possibilità concreta, dunque?
Vediamo come andrà la seconda maratona, a me ispira. Bisogna capire dove si riesce ad arrivare.
Hai i record nazionali dai 1500 alla mezza, insegui quello in maratona, ma qual è la tua distanza preferita?
Credo che il diecimila sia quello su cui riesco a esprimermi meglio. Ma il mio preferito è il tremila, è una bella via di mezzo.
Che ti aspetti dai mondiali di Budapest?
Sono convinto che la preparazione fatta da novembre ad adesso, con tutto l’allenamento per la maratona, mi aiuterà molto, spero di aver conquistato un gradino in più degli altri anni e competere tra i migliori al mondo. Poi non mi azzardo a dire a quale posto spero di arrivare, se sul podio o quinto, ci saranno tanti africani e ci sono tante variabili.
Durante l’allenamento per la maratona hai trascorso un periodo in Kenya, come è andata?
Lì vai proprio per concentrarti e dedicarti al 100% alla preparazione, senza distrazioni, che non è solo uscire la sera ma anche andare a pagare la bolletta, fare la spesa, insomma tutta la routine quotidiana. Lì invece mangi, corri, dormi. Alla lunga può essere troppo ma per me un periodo è utilissimo. Poi sei in altura, corri su percorsi collinari che servono molto per la maratona, ti alleni con i migliori al mondo… E’ stata una bella esperienza.

Hai un ‘mito’ sportivo? O un atleta a cui ti ispiri?
Prima Mo Farah, gli vedevo fare quelle volate, vinceva negli ultimi 100 metri come piace penso a tutti… Poi ho un po’ cambiato, ora credo che Kipchoge sia quello che ha qualcosa in più da insegnare agli altri. Ci ho parlato una volta e mi ha colpito la sua grande calma. Lui ha fatto tutto il percorso dalla pista alla maratona e lo ha fatto bene, vincendo tanto, non come quelli che fanno due o tre maratone e poi spariscono. E’ l’atleta più completo, poi costruito con il lavoro, senza aiuti, non posso dire che sia il mio mito ma, tra virgolette, invidio i suoi risultati.
Tu però sei un grande fan del calcio. Contento per l’Inter?
Assolutamente si, devo dire che sono stato più contento all’andata contro il Milan, abbiamo giocato benissimo, martedì abbiamo difeso il risultato. Io ho iniziato giocando a calcio, facevo il centrocampista ma correvo dappertutto. E stato molto difficile abbandonarlo per l’atletica, ora però sono grato a chi mi è stato vicino e mi ha consigliato e sono stracontento della mia scelta. All’inizio a dir la verità andavo ancora qualche volta a giocare, ormai guardo solo le partite e manco tutte.
Tu condividi tantissimo dei tuoi allenamenti sui social, dalla corsa al potenziamento passando per il lavoro sulla respirazione. Come mai questa scelta?
Un anno e mezzo fa ho iniziato questo lavoro con Gugliemo Formichella perché avevo un fastidio al diaframma, alla parte destra, mi veniva una fitta negli ultimi giri che mi impediva di esprimermi al meglio anche quando le gambe andavano. Quindi ho iniziato a lavorarci con molti esercizi. La mia intenzione è portare nel mondo dell’atletica e dello sport in generale l’importanza di respirare bene, è un upgrade, la ciliegina in più. Da un anno a questa parte ho iniziato anche un lavoro di potenziamento in palestra con un’altra persona, per la prevenzione degli infortuni, anche questo è importante da capire: la corsa lunga, la maratona, non è solo correre ma anche tutto il contorno. Condivido anche i miei allenamenti su Strava, per far vedere quello che faccio, sono allenamenti normalissimi che chiunque può fare al proprio ritmo. La mia idea è mostrare tutto il lavoro che c’è dietro, che miglioro anche curando questi aspetti.
Hai una bella storia, sei nato ad Addis Abeba, sei stato adottato da una coppia insieme ai tuoi fratelli e ai tuoi cugini, sei e ti senti orgogliosamente italiano. Cosa ti ricordi di quegli anni?
Tante cose, anche se ero piccolo. Il viaggio dal mio villaggetto all’orfanotrofio, i miei parenti mi dissero ‘torneremo a prenderti’. Non sono mai più passati. Ma non era brutto, eravamo 80 ragazzini, giocavano tutto il giorno, studiavamo l’italiano: lì ho capito, parlando con gli altri, che avrei avuto una famiglia. Dopo 5 mesi sono arrivato in Italia, ricordo l’aereo, i miei genitori che avevano una macchina, il fatto che ce ne fossero tante: mi sembrava il paradiso. Da lì in poi è stato tutto in discesa, la mia seconda infanzia l’ho passata bene. Razzismo? Per fortuna no, non mi è mai capitato, non so come avrei reagito.
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